Marina Rocco, milanese, è una bella donna bionda e esile, non a caso in passato ribattezzata Marylin. Forse anche per questo si può faticare a immaginarla nei panni della popolana Maria Brasca da Niguarda di Giovanni Testori, ma solo prima di vederla in scena al Teatro Parenti e capire che è la stessa ma anche un'altra storia, una rivisitazione più contemporanea che filologica anche dello spettacolo del 1992 diretto dalla medesima Andrée Shammah. Eccola la Rocco, al cinema per la regìa di Giordana, Mazzacurati, Castellitto, in tv con Cento vetrine, Melevisione, Tutti pazzi per amore, a teatro con Filippo Timi e naturalmente con la Shammah.
Dopo la prima si è sentita soddisfatta o avrebbe voluto cambiare qualcosa?
«Ero soddisfatta perché sono sopravvissuta ad alcuni giorni di paura oltre la paura. Già portare a termine il lavoro, vedere che la compagnia resta unita, che il pubblico risponde, è molto, ma era pur sempre un inizio. Lo spettacolo è un vestito con cui prendere confidenza, si arricchisce replica per replica».
Il suo personaggio è stato interpretato da mostri sacri come Franca Valeri e Adriana Asti. Che rapporto con i suoi modelli?
«Mi sono ispirata ad Adriana Asti perché avevamo una registrazione del 1992 dello spettacolo diretto da Andrée. Mi ha catturata. Ho iniziato a guardarla e riguardarla e ho avuto il piacere di citarla: alzo la gambetta, mi siedo sul tavolo e entro con la scarpina come faceva lei, indosso i suoi vestiti. Franca Valeri è un mito, ma lo spettacolo ho potuto solo ascoltarlo».
Che cosa ha messo di suo in questo ruolo ricco di seduttività ma anche di forza?
«La cosa che mi ha scaldato è sentirmi parte di una storia che continua. La Maria reagisce alle fragilità con grandissima vitalità e per me è la cosa più esaltante, una medicina, perché io sia nella vita che nel lavoro le fragilità le espongo, non le maschero. Molte donne, come me, riescono a reagire a mano a mano».
«Dignità» e «voler bene» ricorrono nello spettacolo. Lei è stata Nora in Casa di bambola, che per dignità se ne va. La Maria invece resta.
«La dignità della Maria Brasca è il diritto di amare chi vuole, quando, come e perché vuole, nonostante ciò che cercano di imporle e a dispetto del non essere amata. Nora se ne va in cerca di se stessa, con il grido d'amore di sé di una donna che ha sempre vissuto nello specchio altrui. La Maria, operaia a Niguarda negli anni Settanta, ha l'orgoglio di dire che almeno nell'amore, in queste cose qui, i padroni siamo ancora noi».
«In queste cose qui, i padroni siamo ancora noi» è una rivendicazione adatta anche oggi alla Maria di Porta Romana. Tempo fa ha detto di aver messo la carriera prima dell'amore. Vale ancora?
«La forza che mi dà affrontare queste avventure non me la dà nient'altro. È una passione che ho sempre avuta, il motore di tutto, il motivo per cui sono uscita di casa, ho avuto coraggio mentre in altri campi ne ho avuto meno. Quando mi innamoro, in quel momento l'innamoramento batte tutto ma non ho mai trovato un amore durato tutti questi anni come la passione per recitare».
Non ha deciso lei, a due anni e mezzo, di interpretare Gesù Bambino.
«Mio padre era appassionato di storie, di libri, di film. Ne ho un vago ricordo, aiutato dalle foto, ma quella recita ancora mi spinge: già a quattro anni piangevo se non mi davano la parte che desideravo».
La Maria ha le idee chiare. Per lei è meglio una fetta di torta o una michetta di pane?
«Lo zucchero preso tutti i giorni fa male, ma anche a lei piace la torta e la mangia, eccome. Oggi vorrei essere la Maria, scelgo la michetta, per vivere bella tranquilla».
Che cos'è lo «sbrinz»?
«Non trovo un sinonimo. È quando ti innamori e tutto il resto è spento, sparisce. Come altro posso chiamare quella roba lì?».
(Al Teatro Parenti «La Maria Brasca» rimarrà in scena fino al 5 marzo)
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.