Per chi scriveremo, domani? Chi ci leggerà nel futuro prossimo, nel nostro secondo mezzo secolo di vita? In un Paese in cui in quindici anni le edicole sono passate da 40mila a 12mila, in cui le nuove generazioni sono sempre più inclini ad informarsi sui social media e l’intelligenza artificiale tiene banco al bar più dei risultati di calcio, non è una domanda semplice a cui rispondere.
La narrazione più in voga, che viene supportata dai vaticini nefasti di chi continua ad augurarsi che i quotidiani si estinguano come i dinosauri, è quella di una stampa - quella conservatrice di cui il Giornale è orgogliosamente capofila - che parla solo agli anziani. Fa comodo disegnarci così, come fogli dedicati a una popolazione agiata e retrograda, arroccata sulle sue posizioni di presunto privilegio. Il colonnello in pensione con le stellette arrugginite, il penalista dalle ricche parcelle, l’azzimato imprenditore sempre-e-comunque evasore fiscale. È così facile accomunare il Giornale e i suoi lettori in un enorme calderone di pregiudizi e disprezzo socio-politico, e aspettare che il tempo faccia il suo corso, eliminando entrambi una volta per tutte.
Eppure, la realtà è diversa e - si spera - lo sarà anche il futuro.
Intanto, anche se la «buona borghesia» che dai tempi di Montanelli rappresenta il faro di questo Giornale sa difendersi benissimo da sola, bisognerebbe avere il pudore di definire «privilegio» un sussidio piovuto dal cielo, e non una sicurezza economica ottenuta dopo decenni di lavoro. Chiarito di che pasta sono fatti i nostri lettori storici, proviamo a definire quelli «nuovi».
Basta entrare in una qualsiasi università italiana per accorgersene. Per capire che il clima degli anni ’70 basato sulla persecuzione delle idee conservatrici forse è meno violento, ma non è cambiato nella sostanza. E chi a questa riduzione a gregge omologato non ci sta, avrà sempre nel Giornale una bandiera da sventolare. Alla luce di questa legge delle giungla, esiste e sempre esisterà una porzione sottorappresentata ma significativa di ragazzi che credono in molte cose ma soprattutto in loro stessi, nel valore del sacrificio che è la via maestra del merito, l’unica vera stella polare. Sono quelli che studiano e cercano di dare esami mentre nei chiostri si moltiplicano le tende per Gaza e nei Senati accademici le discussioni su come livellare tutto verso il basso. Ma sono anche quelli che all’università non ci vanno, che imparano un mestiere e avviano un’impresa e chiedono solo allo Stato di non sgambettarli con leggine e gabelle. Sono, in sostanza, la nouvelle vague degli individui, che mettono i loro valori e i loro talenti al di sopra di quelle ideologie che hanno portato oggi alla cancel culture e a questo nuovo senso di ortodossia opprimente e iper-corretta.
Saranno loro i nostri lettori di domani, fintanto che riusciremo a farci voce - o grido, dipende dal volume del coro sopra cui ci innalzeremo - delle istanze di chi fa il suo dovere sempre e non vuole rinunciare alla sua libertà mai.
Schopenhauer diceva che «i primi quarant’anni di vita ci danno il testo; i successivi trenta ci forniscono il commento allo stesso». Sul Giornale troverete sempre entrambi, ecco perché la nostra anima di carta non ha età.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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