Qualche tempo fa è uscito un libro che raccoglie gli editoriali scritti dai direttori di giornale al momento di presentarsi ai lettori e nel giorno del loro congedo. Sono circa un centinaio di pistolotti firmati dai più bei nomi della stampa italiana. Si va dai saluti di Giovanni Spadolini, alla guida del Corriere negli anni in cui l’Italia imboccava la scorciatoia del Sessantotto, a quelli di Eugenio Scalfari, padre-padrone di un quotidiano che sin dal primo giorno si sentì il padrino d’Italia.
Prendendo in mano il libro dei direttori non cercavo un’ispirazione, ma volevo capire cosa avessero promesso ai propri lettori tanti illustri colleghi nell’atto di assumere il comando dei giornali loro affidati. È una lettura che consiglio a molti di voi, quanto meno se volete passare qualche quarto d’ora istruttivo. Letti a distanza di anni, con negli occhi alcune memorabili pagine dei quotidiani che questi signori hanno diretto, molti autorevoli editoriali suonano come scatole di latta vuote, promesse al vento, esercizi di stile e di ipocrisia.
So che rischio di apparire irriguardoso e presuntuoso. Ma che altro si può dire di un fondo in cui Piero Ottone si presentò il 15 marzo 1972 ai lettori del Corriere sostenendo l’urgenza di un cambiamento a favore della libera iniziativa e della concorrenza in economia, «secondo le tradizioni dell’Occidente al quale apparteniamo», mentre poi, appena seduto sulla poltrona direttoriale, fu preso dalla fregola di genuflettersi alle tradizioni d’Oriente, accogliendo nel salotto di via Solferino i Soviet sindacali e congedando, dalla porta di servizio, le migliori firme che quelle tradizioni d’Occidente avevano sempre sostenuto. E come si concilia l’impegno di Eugenio Scalfari, che il 14 gennaio del 1976 si vincolava a fornire ogni giorno ai propri lettori uno strumento di verità e onestà, con le campagne faziose e violente che quel giornale ha condotto per oltre vent’anni, contro Craxi, Cossiga e infine Berlusconi, a seconda delle esigenze del momento della sinistra comunista. Rileggere quelle prediche, oltre che educativo sul genere di giornalismo praticato in Italia - soprattutto di quello che si è autoproclamato autorevole e indipendente -, aiuta però anche a capire in che razza di Paese abbiamo vissuto dal Dopoguerra a oggi, un Paese che ha eletto a virtù il trasformismo e la menzogna.
Per quel che mi riguarda, non ho alcuna intenzione di annoiarvi con pistolotti e patti di fedeltà alla linea di quel Giornale con il quale oggi mi congiungo civilmente in matrimonio. Innanzi tutto perché il Giornale ed io conviviamo more uxorio da oltre sette anni e se fingessi di giurarvi devozione ora sembrerebbe a tutti quelli che mi conoscono una commedia allestita per l’occasione. Per anni ho condiretto questo quotidiano insieme a Vittorio Feltri e insieme a lui ho condiviso le scelte, le battaglie e anche gli errori che ne contraddistinsero la direzione. Nel dicembre del ’97 ho poi assunto l’incarico di direttore operativo, affiancando Mario Cervi in tutte le decisioni. Posso dunque simulare di entrare oggi nella stanza dei bottoni di questo quotidiano? Posso allontanare da me gli sbagli e le cantonate prese, per promettervi che lo sarò meglio di chi mi ha preceduto? Le frottole e le recite non fanno per me e, conoscendovi, cari lettori, neanche per voi. Il Giornale continuerà dunque a essere quello che è, l’unico quotidiano che dà voce ai moderati, il solo che non si accoda alle mode e alle truppe dei vincitori. Sarà quello che conoscete da quasi trent’anni: coraggioso, anticonformista e senza imbarazzi. Canterà fuori dal coro, così come ha sempre fatto, utilizzando i suoi migliori solisti, dal vicedirettore Paolo Guzzanti, ad Antonio Socci, da Marcello Veneziani a Nicola Matteucci e ai molti altri che quotidianamente scrivono e che qui non cito per brevità (e per questo - statene certi - me la giureranno). Il vostro quotidiano sarà ciò che una redazione composta da giovani e appassionati cronisti lo ha fatto diventare.
Mario Cervi nel suo saluto manifesta una preoccupazione. Che il Giornale avendo l’opposizione nel Dna, faccia fatica a ritrovarsi a suo agio qualora la Casa delle libertà vincesse le elezioni. È una preoccupazione legittima, ma poco fondata. Con Berlusconi al governo noi saremo gli unici tra i tanti organi di stampa a essere indipendenti dal pregiudizio avverso che per anni ha dipinto Berlusconi come il male assoluto. Se ci sarà da criticare il governo lo faremo, ma lo faremo da liberali autentici, senza essere sospettati di partito preso.
Se ci sarà da attaccare attaccheremo, ma sempre rimanendo sulla sponda moderata. E poi, caro Mario, rinunciamo al copione che s’impone nel momento degli addii. Tu te ne vai, ma rimani sempre nella stanza che confina con la mia, e questo ogni giorno sarà di sufficiente monito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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