Addio a Sir Montagna Scalò per primo il mito dell’Everest

È morto in Nuova Zelanda Edmund Hillary, il primo uomo che, nel 1953, arrivò sulla vetta più alta

Un grande dell'alpinismo ci ha lasciati. Per sempre. E il mondo intero, se non dolore, ha sicuramente patito una più o meno forte scossa. Edmund Hillary il suo nome, chiamato in seguito Sir, perché tanto lo aveva eletto la Regina d'Inghilterra dopo che lui, in cordata con il modesto e impeccabile nepalese Norgay Tenzing, aveva salutato il mondo a braccia alzate dalla vetta dell'Everest, la cima più elevata della terra a metri 8.883. Fu un giorno trionfale per la lunga storia dell'alpinismo, era il 29 maggio 1953. Quella storia che ha avuto molte anime, alimentata da Comici, Cassin, Monatti, Maestri, Manolo fino all'incommensurabile Messner, sostenuta e spinta da due forze animate da estreme volontà, una dalle vittorie sulle pareti strapiombanti del sesto grado e poi anche oltre, l'altra dalla calamita dell'ambizione e dei cuori per la conquista delle 14 vette oltre gli ottomila metri. La loro regina era l'Everest. La spedizione che poi l'ha vinta era inglese, ma il suo capo, il colonnello John Hunt volle vicino a sé pure il giovane longilineo Hillary, neozelandese, nato a Tuakau a sud di Auckland il 20 luglio 1919, dotato di una salute di ferro che lo ha accompagnato per quasi novant'anni. Si è parlato, e scritto, molto di lui perché «la corsa all'Everest» è stata seguita, raccontata e sognata per decine di anni in tutto il mondo anche perché il gelo, il vento e la mancanza di ossigeno in alta quota parevano o, sono stati temuti, come invincibili. Va poi detto che il vincitore, a differenza di quasi tutti i fenomeni della storia dei monti, era un ventiquattrenne sconosciuto che non aveva nel suo palmares alcuna gemma dorata. E di rischiose, verticali o gelate vicende non ne ha avute nemmeno dopo. Onori sì invece nel mondo intero, ma importante e degno di stima lo è divenuto in seguito fino a ieri.
Il personaggio l'ho conosciuto e ho avuto pure il privilegio di un'oretta tutta per noi a Milano. La conoscenza dell'inglese mi ha facilitato l'incontro in un giorno di primavera, era il 25 maggio 1999, nella zona del Castello Sforzesco all'indomani di una serata organizzata dal Centro Asteria. Ci trovammo nella hall del suo albergo e poi, procedendo lentamente, aggirammo il Castello e vi entrammo pure dovendo io inventare la storia della dinastia degli Sforza più di quanto in realtà sapessi. Hillary parlava con voce sommessa ma sicura, e alcuni brani del suo dire li ricordo bene perché li collocavo in un tratto del cuore come una reliquia. «Non sono nato alpinista. Non lo pensavo quando avevo quindici o diciott'anni, però camminando in salita mi rendevo conto di affaticarmi meno, anche molto meno dei miei compagni di scuola. Lì si è ravvivata la spinta verso le cime ma non solo, perché in seguito sono stato uno dei primi a raggiungere, il terzo al mondo, il Polo Sud». Gli domandai anche perché non avesse più tentato altre conquiste dopo l'Everest. «Mah… non ho più avvertito spinte in quella direzione, mi sono bastati il Monte Cook (il più elevato della Nuova Zelanda con i suoi 3.753 metri)e l'Everest e poi ho voluto fare qualcosa di più importante e credo di esserci riuscito senza mai gridarlo». Evidentemente il Nepal e la sua gente, i bambini e la povertà, lo avevano commosso e con il suo biglietto da visita di «uomo più elevato della terra» lo avevano agevolato nel raggiungimento di altre cime, di affetto, di bontà, di istruzione, realtà importanti di essere non solo l'uomo di una vetta, seppure prima al mondo ma un individuo generoso, stimato e anche amato a più aspetti e dimensioni.
La realtà si è chiamata Himalayan Trust e una delle sue prime e stimate iniziative è stata avvicinare i figli di tutti gli sherpa morti in montagna e seguirli dalle scuole elementari o comunque di ogni altro livello, fino alla laurea. In seguito un'altra benemerita fondazione è nata, molti anni dopo, alla morte dell'alpinista francese Benoite Chamoux e alla quale collabora anche Agostino Da Polenza, l'uomo che gestisce la nota Piramide dell'Everest. In forte assonanza con sir Edmund fino a ieri, ma lo sarà anche in seguito, senza alcun dubbio. Ma l'ultima bella notizia è poi questa: il nostro Silvio Mondinelli, grande anche per essere uno dei sei soli scalatori ad avere salito tutti i 14 ottomila senza ossigeno, si sta preparando per un'altra cosiddetta impresa: scalare l'Everest dai versanti Nord e Sud di seguito, audace fatica che nessuno finora ha mai portato a termine. In quella circostanza Da Polenza e la sua Mountain Equipe installerà agli 8000 metri del Colle Sud la più alta stazione meteo al mondo e Mondinelli porterà sulla cima dell'Everest uno speciale sensore per la temperatura che trasmetterà per sempre.

E proprio ieri è stato deciso che questa novità che non so ancora come chiamare, se magari «notizia dalle stelle» o in altra maniera, sarà comunque dedicata a Sir Edmund Hillary. Un tocco in più alle cime della benemerita Italia.

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