"Adesso cavalco verso l’Aldilà"

Intervista a Clint Eastwood: il regista è in Francia per girare un film a sfondo esoterico con protagonista Matt Damon. A Lione ha mostrato in anteprima "Invictus", dedicato al Sudafrica. Uscirà negli Usa a dicembre

"Adesso cavalco verso l’Aldilà"

Lione - Dopo il «Sean, Sean» della colonna sonora di Giù la testa di Sergio Leone, ecco al Lumière 2009 - Grand Lyon Film Festival echeggiare: «Clint, Clint». L'hanno scandito in più di tremila, riuniti nell'anfiteatro del Centro congressi. Qui Eastwood ha ricevuto - da Thierry Frémaux e Bertrand Tavernier, direttore e presidente dell'Institut Lumière - il premio alla carriera. Poi è partito per Chamonix: qui gira un film a sfondo esoterico di produzione francese, Hereafter, («L'aldilà») con Matt Damon. Sempre con Damon Eastwood ha girato Invictus, sulla partita Sud Africa-Australia ai campionati del mondo di rugby del 1995 (uscita americana: 11 dicembre; uscita italiana: 12 febbraio). Protagonista, Damon nel ruolo di capitano della Nazionale sudafricana; co-protagonista, Morgan Freeman nel ruolo di Nelson Mandela. A Lione, Eastwood ha mostrato brani del film, ispirato alla vittoria che per il Sud Africa in crisi corrisponde a ciò che per noi sono stati i Mondiali di calcio del 1982 e 2006.

Mai regista banale, nell'ultimo quinquennio Eastwood è diventato il migliore degli americani con una progressione impressionante: Million Dollar Baby, Mystic River, Flags of our Fathers, Lettere da Iwo Jima, Gran Torino... Caso quasi unico, è passato dal talento al genio dopo i sessant'anni; caso ancor più raro, è grato a chi gli è stato maestro e gli insegnò il mestiere. La prima uscita pubblica di Eastwood a Lione è stata infatti per Crimine silenzioso di Don Siegel (1958), con Eli Wallach. Aveva infatti chiesto al «Lumière 2009» di unire Siegel nell'omaggio pensato nel ventennio dalla morte per Leone. Ma c'è di più ed è da questo che si coglie la natura di Eastwood. Leone diceva di lui che aveva «solo due espressioni: col sigaro e senza». E così, nello Straniero senza nome (1973), Eastwood mostrò la tomba di Leone prima che Leone morisse (1989). Dopo tre film d'immenso successo, la loro collaborazione finì quando Eastwood notò sfiducia in lui. Leone gli aveva affiancato un co-protagonista (Lee Van Cleef) in Per qualche dollaro in più, due - il secondo era Wallach - ne Il buono, il brutto e il cattivo. E così il sodalizio con Leone finì.

Signor Eastwood, lei s'è imposto a Hollywood senza mettere lieto fine...
«O si striscia, si baciano i piedi, si scrivono solo storie a lieto fine, si firmano lunghi contratti e non si lasciano mai Hollywood. O si fa il contrario».

E lei l'ha fatto.
«Cominciai nei primi anni Cinquanta. Allora si volevano solo girare buoni film. Oggi invece i produttori non conoscono il passato, ignorano che cos'hanno nei depositi: le loro radici, insomma».

Il Festival del cinema ritrovato di Bologna e ora il Lumière Festival provvedono a questo.
«Sì, è bello riscoprire i grandi. Averli presenti aiuterebbe il cinema di oggi».

Primo negli incassi con «Gran Torino», a 79 anni!
«Gran Torino è un film su che cosa insegnare ai giovani. E il protagonista doveva essere sia vecchio, sia chiuso. Poi si apre».

Troppo chiusi si inaridisce. Troppo aperti si scompare.
«La questione è appunto quanto aprirsi. Per il mio personaggio, aprirsi è capire i vicini».

Da vecchi si diventa spesso come non si è stati prima.
«Infatti. Il punto centrale della mia storia è che si apprende a ogni età».

È asciutto nella recitazione.
«Un attore deve saper ascoltare. In Grisbi di Jacques Becker, Gabin interroga senza alzare lo sguardo. Ma nelle scuole vi direbbero di fissare l'altro! Ho seguito Gabin, non le scuole».

Con «Lettere da Iwo Jima» lei moralmente chiuse la guerra al Giappone. Con «Gran Torino» ha moralmente chiuso la guerra alla Cina (per la Corea).
«Sono lieto che per Gran Torino mi si attribuisca anche questa intenzione. Per Lettere da Iwo Jima, l'idea era semplice: mostrare l'altro lato del fronte».

Dunque?
«Sono andato nelle caverne dove i giapponesi hanno vissuto. Erano coscritti, sapevano di non tornare a casa. Mi sono permeato della loro emozione».

Il premio di Lione alla sua carriera viene dopo quello di Venezia. Dino Risi diceva: riceverli è un anticipo sul funerale.
«Vedersi invecchiare è deprimente. Dà voglia di smetterla. Così ho cercato di vedere ogni film come se fosse il primo. E ho continuato».

Riesce sempre a convincere i produttori a fare un suo film?
«Per Mystic River e Million Dollar Baby è stato arduo. Riducevano quest'ultimo a un film su una donna-pugile».

E

invece?
«È un film sull'affetto tra padre e figlia».

Quando sono arrivati gli Oscar, che cos'ha detto a chi li aveva bocciati?
«Niente. Non ho davanti abbastanza tempo per replicare alle rispose stupide».

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