"Alto" o "basso". Anche nel canto sparisce il sesso

Per qualcuno una classificazione tra voci maschili e femminili è discriminatoria e arbitraria.

"Alto" o "basso". Anche nel canto sparisce il sesso

La voce umana, maschile e femminile, può essere classificata, secondo l'estensione, dalla più grave alla più acuta. Le voci maschili in bassi, baritoni e tenori e le voci femminili in contralti, mezzosoprani e soprani. E poi, a parte, ci sono le voci bianche, quelle dei bambini che non hanno ancora raggiunto la muta vocale, tradizionalmente classificate come le femminili. È una classificazione naturale, dal momento che l'apparato fonatorio di ciascuno, prima e dopo la pubertà, conserva caratteristiche anatomiche oggettive ben precise che lo differenziano da qualunque altro.

Ma per qualcuno una classificazione tra voci maschili e femminili è discriminatoria e arbitraria. La folle mannaia del politicamente corretto è infatti arrivata a colpire non solo la musica come espressione, ma anche un principio che sta alla base della composizione all'incirca da sette secoli. La Oxford University Press sta lavorando alla cancellazione, sugli spartiti editi o riediti, della ripartizione in voci maschili e femminili, preferendo quella tra «higher» e «lower», voci alte e voci basse. Così è scritto sulla nuova edizione gender fluid di Good King Wenceslas, un canto tradizionale natalizio ottocentesco adattato su una melodia medievale. Secondo il Telegraph, la Oxford University Press ha precisato che, conformemente alle richieste della comunità transgender, non avrebbe più intenzione di fare riferimento, come «in passato», alla classificazione tra uomini e donne.

A parte il fatto che uomini che cantano come donne (sopranisti, contraltisti, controtenori) esistono e hanno ereditato la grande tradizione dei castrati, o che donne che interpretano ruoli maschili fanno parte della storia dell'opera, si tratta di capire il motivo per cui non si debba fare più riferimento alle categorie «maschile» e «femminile».

Motivo che, in fondo, è sempre lo stesso, perché anche cancellando capziosamente le parole non si modifica la realtà e la verità: all'uomo o donna operato o operata che ha compiuto la transizione ed è passato/a all'altro sesso non darà alcun fastidio essere inquadrato nel nuovo genere di appartenenza e, per contro, l'uomo o la donna che si sente l'opposto ma continua a cantare nel registro vocale del proprio apparato fonatorio naturale, che piaccia o meno, al di là delle definizioni, continuerà a essere, oggettivamente, ciò che è. Per questo, quella della Oxford University Press più che una reale esigenza appare una pretestuosa foglia di fico per celare ciò che si sta tentando: una guerra al dizionario e al buonsenso.

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