Un’altra estate d’oro per il vitello tonnato

Quando esplode l’estate non si scappa da Prosciutto e melone, il trionfo della banalità, Caprese di mozzarella e pomodoro, scontato e sovente anemico, e il geniale Vitello tonnato, Vitel tonné secondo un francesismo che un tempo faceva tanto fine.
Il Vitello tonnato ha una mamma, la Lombardia, e un papà, il Piemonte, più tanti nipotini che oggi lo interpretano secondo estro personale. Come per il 99% dei piatti delle nostre tradizioni, non esiste una ricetta-tipo ma continue evoluzioni, fatti salvi i due punti cardinali, il vitello e il tonno, e una regola: il vitello va presentato a fette sottili e il tonno sopra, in forma salsosa. Se però siete alla tavola di Norbert Niederkofler al St.Hubertus a San Cassiano in Alta Badia, quello che credete vitello poco cotto, rosa, è in verità tonno crudo e la carne è nella salsa. Uno scambio di ruoli, la classica, piacevole eccezione.
Vegetariani a parte, il Vitello tonnato piace a tutti perché sostanzioso e cremoso, perfetto alibi per una sontuosa scarpetta con un buon pane. Non solo, sovente viene guarnito con sottaceti, anche se la classicità ammetterebbe solo i capperi. E qui ecco un altro bivio: sott’aceto o sotto sale? per me esistono solo quelli sotto sale ma Lucio Stanca, ex direttore generale dell’Expo 2015, autore di un simpatico ricettario, I profumi di casa, «una raccolta speciale di ricette di famiglia», consiglia gli altri.
La scelta storicamente più importante è però un’altra, alla quale negli Anni Zero, se ne è aggiunta una seconda, creativa. Con ordine: il vitello, magatello o girello, sottofesa o noce che sia, una volta rosolato, va arrostito o bollito? In Lombardia bollito, in Piemonte no: arrosto al forno. Ma le due regioni hanno marcati tratti comuni ed è difficle tirare una riga netta, soprattutto tra Vercelli, Novara, Pavia e Milano. Arrosto acquista più sapore e tanto a me basta per dare dignità assoluta anche alla carne, però è vero che il tonnato nasce povero, per arricchire tagli di per sé delicati con la salsa, che è quanto fa più godere chi lo ordina.
Stanca bolle in acqua e aceto e la salsa è un compromesso tra i due partiti maggiori: fermo restando acciughe, tonno e capperi, maionese sì o maio no? Come tanti lui frulla un uovo intero più un secondo tuorlo, quindi 2 etti di tonno sott’olio, 3/4 alici, limone spremuto, olio e brodo di cottura, capperi a pioggia solo al momento di servire il vitello sommerso dalla crema. È una visione classica del Vitello tonnato, ricorda il mitico antipasto di Lidia Alciati, prima a Costigliole d’Asti e ora a Santo Stefano Belbo, che lei ci tiene a ricordare trattarsi di un arrosto e non di un bollito. In Piemonte altri gli hanno tutt’altra forma, gustosa nella sua simpatia: sia Davide Scabin al Combal.zero a Rivoli sia Alfredo Russo al Dolce Stil Novo a Venaria arrivano a bon bon caramellosi, con la fettina di girello fuori e la maionese tonnata dentro. E anche se le posate a tavola non mancano, usando le mani, bastano pollice e indice, il gusto ci guadagna.
Ma il meglio lo ritroviamo da Marta Grassi, titolare del Tantris a Novara. Lei conserva un libretto scritto dalla trisnonna milanese di un parente. La data? 1882. Carne lessata, niente maionese. Centoventotto anni dopo, la nipote confeziona dei deliziosi rotolini di carne rosa, ripieni come cannelloni di maionese, tonno, capperi...

il noto, «poi coloriamo il piatto, in antitesi al cemento delle città, con due salse, peperone giallo e peperone rosso, e poi verticalizziamo i tubetti come fossero palazzi con sopra un giardino pensile, di germogli». L’innovazione della tradizione.

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