
A Elon Musk non sono serviti gli oltre 250 milioni di dollari spesi durante la campagna elettorale, o il crollo di immagine (e di vendite) della sua Tesla per i licenziamenti di massa nel governo attuati dal suo Doge. L'«uomo che sussurrava a Trump» sembra aver perso l'orecchio del presidente. È il Washington Post a rivelare quanto era già trapelato negli ultimi giorni, almeno a giudicare da alcuni post di Musk su X, mentre la guerra commerciale globale scatenata dal presidente Usa spaccava il cerchio magico trumpiano in due fazioni: da un lato i duri e puri, come il segretario al Commercio Howard Lutnick o il consigliere Peter Navarro, convinti della necessità del piano dei dazi; dall'altro, chi, con diversi gradi di cautela o avversione, cerca di far cambiare rotta al tycoon, come il segretario al Tesoro, Scott Bessent, e Musk appunto.
Il Post riferisce che, durante il fine settimana, il miliardario avrebbe tentato personalmente di convincere Trump della necessità di fare un passo indietro. Per ora, senza successo. È la prima vera rottura nella «coppia presidenziale» che ha finora dominato gli ultimi mesi della scena pubblica americana e internazionale, in un'alleanza di interessi che non era stata scalfita nemmeno dalla cattiva stampa che Musk aveva attirato sulla Casa Bianca per le sue iniziative anti burocrazia più controverse e per i dissidi con altri membri dell'amministrazione.
Le avvisaglie della contrarietà di Musk ai dazi di Trump erano evidenti da alcuni giorni. Prima l'intervento al congresso della Lega, nel quale aveva auspicato un regime di «zero dazi» tra Usa e Ue; poi, la pubblicazione di un video nel quale l'economista Premio Nobel Milton Friedman spiegava i vantaggi del libero mercato e della libera determinazione dei prezzi; infine, gli attacchi al più stretto consigliere di Trump in materia di dazi, Navarro, ritenuto il vero architetto del piano annunciato la scorsa settimana. «Un dottorato in Economia a Harvard è una pessima cosa, non una buona cosa», aveva scritto sabato su X Musk, in riferimento ai titoli del suo antagonista. Lunedì, c'era stata la replica del diretto interessato, che aveva definito Musk un «assemblatore di auto», più che un costruttore. La Tesla, era stato l'argomento di Navarro, fa ampio uso di componenti provenienti da Cina, Taiwan e Giappone. Di qui, l'avversione per i dazi. Ieri, il contrattacco di Musk. «Navarro è veramente un idiota», ha scritto su X. Tesla è «il produttore di automobili più verticalmente integrato in America con la più alta percentuale di contenuti statunitensi» e Navarro è «più stupido di un sacco di mattoni».
Uno scontro che potrebbe forse accelerare l'uscita di Musk dall'amministrazione, prevista a maggio. La Casa Bianca ha cercato di smorzare la polemica. «Ovviamente si tratta di due individui che hanno idee molto diverse sul commercio e i dazi.
I ragazzi sono ragazzi... Lasceremo che la loro disputa pubblica continui. Questa è un'amministrazione trasparente», ha detto la portavoce Karoline Leavitt. Tra le righe, si legge che Trump stavolta non intende intervenire a sostegno di Musk.
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