Chabal, l'orco timido del rugby che faceva l'operaio

Gigantesco, brutale, terrificante, eppure interiormente docile e profondo: storia (breve) di uno sportivo diverso dall'immagine riflessa sul campo

Chabal, l'orco timido del rugby che faceva l'operaio
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A soffiare su quella vecchia fotografia si fa una fatica terribile. Non solo perché gli strati del tempo hanno aderito alla pellicola. C'è anche il fatto che quel bambino lì sembra tutto fuorché un terrificante profeta di sventura sportiva altrui. Sébastien Chabal a nove anni è gracile, timido, compìto. Scuola, a Valence - nel Drôme - è un posto sicuro. Però non brilla. Ai ricevimenti le maestre pigolano la solita tiritera: "Generoso, ma potrebbe fare di più". A casa scuotono il capo relativamente: sono tutti più o meno orsi, consumati dal lavoro, affezionati ai modi spicci.

Poi un giorno arriva un click. La maestra di matematica lo sgrida, lui risponde per le rime e quella gli assesta un ceffone. Lì il mondo docile di Sébastien subisce una mutazione genetica. La rabbia che reprimeva internamente fuoriesce, fluviale. Una botta come un'epifania. Più tardi mollerà la scuola e si avvicinerà ad un giro di compagnie discutibili. Qualche furto, qualche prepotenza, qualche rissa. Anche perché, mentre cresce la carta di identità, sgorgano anche muscoli e centimetri. Si guarda allo specchio e fatica a entrarci dentro. Spunta anche la prima peluria sotto il mento. Ancora non sa che diventerà la sua coperta contro le malignità del mondo.

La brutta deviazione che ha inforcato la corregge la fabbrica. Ci entra poco più che adolescente, perché le casse di casa languono. Tornitore/fresatore, che poi sarebbe una metafora del suo approccio ad una vita venuta giù ruvida, da levigare con sudore zampillante. Clangori metallici. Calore opprimente. Arsura costante. Effluvi minerali a cospargere l'aria. Dalle 7 alle 17, tutti i giorni. Una partita difficile, ma lui ci sguazza dentro. Adora l'ingaggio fisico. Gli piace collaborare con quegli altri. E l'equivalente in franchi di mille euro al mese è decisamente sufficiente per la vita priva di sussulti che intende condurre.

Però le cose non vanno quasi mai come le avevi pensate. Sébastien necessita comunque di uno sfiatatoio. Il corpo di quel bambino non esiste più. Ora è una fiera di 191 centimetri e oltre cento kg. Gioca a rugby tra i dilettanti del Valence, ma più per sfogare quello strapotere fisico che per un interesse autentico. Non ha tecnica. Ignora i fondamentali del gioco. Ha decisamente iniziato troppo tardi. Però è generoso, come a scuola. E stavolta brilla, diversamente da quel che accadeva tra i banchi. Al punto che un giorno, all'uscita dall'allenamento, lo afferra per un braccio Michel Couturas, suo futuro genitore sportivo. "Hey, ti voglio al Bourgoin".

Altro click. Altra porta scorrevole. Il boss lo pungola e lo fa crescere. "Se non te la senti c'è sempre il ping pong". Ma Sébastien se la sente eccome. E impara così alla svelta che nel Duemila, ventitreenne, lo convocano per il primo Sei Nazioni. Stringe da soli sei anni l'ovale sotto al bicipite. Poi succede tutto così in fretta. Si fa crescere la barba. Indossa uno sguardo perennemente truce. Travolge avversari in serie. Come un tir lanciato a tutta su una pista da ballo. Gli affibbiano un soprannome sintomatico: l'orco. Perché è enorme, tribale nelle movenze. Perché incute timore soltanto a leggerlo in formazione. Però conserva il cuore timido di quel bambino di Valence.

Lo dimostrerà spiazzando tutti con la sua biografia, "La mia piccola stella". Dentro è una mischia tra vita e sport, che in fondo sono la stessa cosa. C'è lui che spiana il neozelandese Chris Masoe, non esattamente un fuscello. C'è la lite con il nostro Martin Castrogiovanni per uno sguardo di troppo alla fidanzata dell'azzurro. Eppoi il sogno rimasto inevaso dell'università. La nascita della figlia e lui che non può andarci. Le cattive compagnie di un tempo che ancora oggi inumidiscono gli occhi. Le grandi conquiste e le delusioni lancinanti con la Francia.

Il condensato di una vita illeggibile come il ribalzo di un pallone da rugby. Sai dove cadrà, ma non indovini mai la direzione successiva.

Chabal non poteva aspettarsi tutto questo, ma in fondo è rimasto sempre fedele a sé stesso. Orco da fuori, per forza e rabbia che erompe. Uomo sensibile dentro, a livello del cuore, il suo muscolo più grande.

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