Ai più sembrerà strano, ma è impossibile capire l’attaccamento morboso di certi popoli verso i propri sport senza affrontare le leggende sulle quali sono fondati. Lo sport americano per eccellenza, il football, non sarebbe lo stesso se si giocasse in un altro periodo, magari più idoneo al clima. Sembra folle, ma football e inverno sono legati a triplo filo nell’immaginario collettivo, tanto da renderli inseparabili. L’idea stessa di andare a vedere una partita in uno stadio aperto, quando la temperatura è ben sotto lo zero, fa parte delle esperienze formative dello sportivo statunitense. Magari inizi a smadonnare dopo cinque minuti, chiedendoti chi diavolo te l’ha fatto fare di pagare fior di quattrini per sottoporti ad un supplizio del genere ma è un rito di passaggio, elemento fondamentale del senso di comunità, rafforzato mentre stai lì, rannicchiato nel tuo cappotto, a battere i denti dal freddo.
Immaginate cosa voglia dire giocare una partita in condizioni del genere, in uno sport dove il contatto è parte irrinunciabile e dove, nonostante le protezioni high-tech, il rischio di farsi parecchio male è sempre dietro l’angolo. La Nfl non ha mai voluto sentire parlare di cancellare le partite causa meteo: “fa parte del gioco”, dicono loro e non hanno tutti i torti. Le partite giocate in climi artici sono parecchie, visto poi che le squadre delle città più a nord hanno sempre fatto bene nella post-season. Andare a giocare a Buffalo o a Foxborough in gennaio è una prospettiva che nessuna squadra affronta con leggerezza ma pochi posti sono così detestati come la “capitale dell’inverno”, la tundra gelata di Green Bay, Wisconsin, al confine col Canada. Una di queste partite, l’Nfc Championship del 1967, si giocò in condizioni talmente assurde da valergli uno dei soprannomi più indovinati del mondo degli sport a stelle e strisce: Ice Bowl. Questa settimana “Solo in America” vi porta quindi in questa cittadina abbarbicata al suo grande stadio, il Lambeau Field, per raccontarvi come questa storica partita contribuì al mito dei Packers, la provinciale più grande del mondo.
La leggenda che non muore mai
La cosa veramente incredibile è come una partita giocata quasi 60 anni fa sia ancora vivissima nelle menti dei tifosi di football, tanto da averla ammantata del velo sottile della leggenda. È rimasta nella storia come la partita più importante giocata in condizioni del genere, visto che in palio c’era l’accesso per il Super Bowl II, che si sarebbe giocato nel clima decisamente più piacevole di Miami. Il fatto è spiegato in parte dando un’occhiata alle squadre che scesero in campo quel 31 dicembre 1967: da una parte i padroni di casa, i Packers del leggendario Vince Lombardi, con il grande Bart Starr come quarterback, a caccia di una storica doppietta. Dall’altra i Dallas Cowboys che non erano ancora diventati America’s Team ma avevano in panchina l’uomo col cappello Tom Landry ed una squadra ansiosa di salire in cima alla montagna del football. Nessuno si immaginava che l’avversario più grande che avrebbero dovuto affrontare sarebbe stato il meteo: la temperatura era da record, -13° Fahrenheit, -25° Celsius, resi ancora più feroci dal tagliente vento artico, che faceva precipitare il termometro a -48° F, roba da deserto dell’Antartide.
A Green Bay fa freddo sempre, quindi si era preparati a condizioni del genere, anche nel 1967: lo stadio aveva un sistema di resistenze elettriche sotto il terreno per impedire che congelasse ma il gran freddo lo mandò in tilt, nonostante fosse nuovo di zecca. Il campo da gioco, quindi, divenne una lastra di ghiaccio, abrasiva come l’asfalto. La banda dell’Università del Wisconsin avrebbe dovuto esibirsi durante l’intervallo ma fu un’esperienza atroce: gli strumenti erano congelati e molti suonatori di ottoni rimasero con le labbra attaccate. Diversi di loro finirono in ospedale per assideramento, testamento perenne alla loro determinazione nel rimanere fedeli alla massima numero uno del mondo dello spettacolo, show must go on. Lo spettacolo riuscì in qualche modo ad andare avanti, nonostante molti dei 50000 spettatori, che non avrebbero mai mancato ad una partita così importante, fossero sul punto di mollare tutto e rifugiarsi da qualche parte, davanti ad un termosifone.
Il fatto che si sia riusciti a portare a termine la partita, nonostante le condizioni atmosferiche atroci, è sicuramente parte del fatto che, così tanti anni dopo, se dite le parole Ice Bowl ad un americano sa perfettamente di cosa state parlando. Ai nostri occhi, decisamente più disincantati, viene da scuotere la testa e pensare che, in condizioni del genere, anche le organizzazioni del calcio, sempre molto attente al portafoglio, avrebbero aspettato che il fronte artico passasse. Il football, invece, continua a guardare con ammirazione il coraggio e la determinazione di giocatori e spettatori, disposti a rischiare in proprio per accedere alla partita più importante dell’anno, quella che può farti entrare nella leggenda.
Vincere contro tutto e tutti
Se le condizioni meteo sono state fondamentali per creare la leggenda dell’Ice Bowl, le due squadre, in qualche modo, riuscirono ad avere la meglio sugli elementi e fornire uno spettacolo magari non eccelso dal punto di vista tecnico ma sicuramente emozionante. Non ci volle molto per capire che, con un freddo del genere, gran parte dei fondamentali del football erano praticamente inutili. Lanciare una palla a mani nude con il vento a -45° era impossibile, almeno per più di 5-10 yards ma Starr ci riuscì per ben due volte, riuscendo a trovare il suo terminale offensivo preferito Boyd Dowler e portare i Packers avanti 14-0. Con le tante cheeseheads sugli spalti che iniziavano già a festeggiare il secondo Super Bowl di fila, Tom Landry riuscì a trovare i rimedi giusti per tirare fuori il massimo dai suoi giocatori anche in condizioni del genere, che a Dallas si vedono rarissimamente. Anche il gioco di corsa, quello che di solito è una sicurezza assoluta, divenne pericoloso, visto che le mani congelate non ne volevano sapere di trattenere l’ovale.
Quando i Packers misero due fumbles nel secondo quarto, i Cowboys riuscirono a rifarsi sotto, chiudendo il primo tempo 14-10. Nel terzo quarto le due squadre fecero di tutto per chiudere la partita ma le condizioni del campo stavano peggiorando sempre più, tanto che nessuno riuscì a segnare un solo punto. Ci volle un colpo di genio e la lucida follia di Tom Landry per portare avanti Dallas: un memorabile trick play vide il running back Dan Reeves improvvisarsi quarterback e trovare il ricevitore Lance Rentzel, che si involò verso il touchdown. Vantaggio Cowboys, con un intero quarto da giocare. Lombardi non si fece prendere dal panico e convinse Starr a non rischiare più del dovuto, colpendo la difesa degli ospiti con una serie di azioni a corto raggio, tanto da far avanzare metodicamente la catena verso la end zone di Dallas. Il finale fu davvero memorabile, giocato su un campo che era ormai una lastra di ghiaccio estremamente scivolosa. Ad una sola yard dalla meta e dalla vittoria, i corridori dei Packers persero due volte il pallone, gettando nella disperazione il pubblico.
A sedici secondi dalla fine, senza timeouts, Lombardi si trovò di fronte ad una scelta atroce: calciare per portare la partita ai supplementari o rischiare il tutto per tutto? La giocata che scelsero fu memorabile, una di quelle che Tom Brady avrebbe inserito nel suo repertorio: la quarterback sneak. Invece di lanciare e garantirsi quindi un’altra opportunità di segnare, Starr si infilò nel buco che Bowman e Kramer gli avevano aperto nella linea difensiva di Dallas e segnò il touchdown della vittoria. Dopo questa partita memorabile, i Packers avrebbero poi battuto senza grossi problemi gli Oakland Raiders, cementando per sempre la leggenda di coach Vince Lombardi, tanto famoso da vedersi intitolato il trofeo che ogni anno viene consegnato al proprietario della franchigia campione del mondo.
Le conseguenze del gran freddo
Molti preferiscono ricordare queste grandi azioni, lo spettacolo surreale della partita sul ghiaccio, il coraggio degli eroi in campo ma quelle tre ore e spiccioli lasciarono conseguenze pesanti su molti, dentro e fuori dal campo. Parecchi giocatori, secondo il National Weather Service, furono costretti ad andare all’ospedale per principi di assideramento mentre almeno uno degli spettatori al Lambeau Field morì per il gran freddo. Alcuni tra i giocatori in campo non sarebbero più stati gli stessi: Sandra Clark, moglie del defensive end di Dallas Willie Towns, dichiarò qualche anno fa al Dallas Morning News che le sue mani non tornarono più le stesse. “Tornò a casa con le mani ancora congelate, poi la pelle iniziò a cedere, pezzo dopo pezzo. Gli fecero male per il resto della sua vita”. Bob Lilly, ex defensive tackle dei Cowboys, disse che il gran freddo gli danneggiò per sempre i polmoni: “non sono più stato in grado di fumare una sigaretta. A dire il vero devo uscire quando mi trovo in una stanza con dei fumatori, non riesco a respirare”.
La cosa veramente curiosa è che, ancora oggi, la NFL non ha stabilito regole sulla temperatura massima nella quale una partita si può giocare. Secondo il sito specializzato Pro Football Talk, non è un caso: una mossa del genere causerebbe danni enormi ai broadcasters che pagano miliardi di dollari per trasmettere in diretta in chiaro le partite della Nfl e uno come il commissioner Roger Goodell non si fa troppi problemi quando c’è da difendere i profitti della lega.
C’è chi dice che, se si fosse giocato in condizioni normali, i Cowboys avrebbero potuto avere la meglio sui Packers, più abituati al gran freddo del Wisconsin. A giudicare da quanto dichiarò qualche tempo fa Chuck Mercein, uno degli eroi dell’Ice Bowl, al sito dei Packers, forse non si sarebbe dovuto giocare quel giorno. Mercein, fullback che riuscì a portare 34 delle 68 yards del drive della vittoria, ricorda quella partita con orrore: “Non ho mai avuto così tanto freddo e sono nato a Milwaukee, dove fa parecchio freddo. Ricordo che anche quando la temperatura era sotto zero andavo a pattinare con gli amici ma un freddo come quel giorno non l’avevo mai sentito. Quando mi svegliai quel giorno sentii alla radio che sarebbe stato -15 non ci volevo credere, tanto che chiamai l’aeroporto locale. Mi dissero ‘è sotto zero e farà molto più freddo oggi’. In mattinata, quando andai alla messa, non credevo ai miei occhi. La temperatura a mezzogiorno era ancora più bassa che la mattina e quando iniziammo a riscaldarci era ancora peggio, sempre più in basso. In fondo, non faceva molta differenza: quando sei un ghiacciolo, non puoi avere ancora più freddo”. La cosa veramente assurda è che il giorno prima c’era il sole e la temperatura era sopra allo zero, quindi nessuno aveva fatto caso al meteo.
Quel giorno, nello spogliatoio, i giocatori non sapevano che pensare: “alcuni giocatori pensavano che non si sarebbe giocato. Willie Wood, uno del sud, diceva ‘non giocheremo, Pete Rozelle, il commissioner, la rimanderà di sicuro’ e molti erano d’accordo con lui. Invece si giocò e la cosa lasciò tutti di stucco, specialmente i Cowboys. Eravamo più abituati al freddo di loro, molti dei giocatori di Dallas sono del sud, dove non fa mai freddo. Bob Hayes, un running back velocissimo era della Florida e non aveva mai giocato una partita sotto lo zero. Giocò l’intera partita tenendo le mani nei pantaloni tranne quando doveva ricevere il pallone. La nostra difesa lo capì subito, marcandolo con facilità”. Nonostante fossero più abituati al freddo, nemmeno i Packers riuscirono a combinare molto quel giorno: giocare in condizioni del genere era praticamente impossibile. “Più che giocavamo, più che risultava difficile combinare qualcosa in campo. Sicuramente il meteo ebbe una grossa influenza sulle prestazioni del nostro attacco. Anche i Cowboys, a parte la grandissima giocata di Reeves, non furono molto più efficaci di noi. A dire il vero, nel secondo tempo, nessuno dei due attacchi riuscì a combinare qualcosa di buono”.
Miti e realtà dell’Ice Bowl
Anno dopo anno, una delle partite più leggendarie della storia del football si è arricchita di aneddoti, più o meno verosimili, tanto da rendere difficile distinguere cosa sia davvero successo quel giorno dalle invenzioni di chi c’era o ha provato a far credere di esserci stato. Alcuni delle leggende metropolitane dell’Ice Bowl, però, sono dure a morire, come quella che dice che la NFL rifiutò categoricamente di rimandare la partita per non essere costretta a pagare una penale alle televisioni. Il giorno prima, quando la Nfl venne a sapere che la temperatura sarebbe stata 5° Fahrenheit, ovvero -15° Celsius, il commissioner Pete Rozelle chiese di rimandare la partita al giorno dopo, l’ultimo buono per evitare di dover far slittare l’intera post-season. Quando il National Weather Service gli fece sapere che il 1 gennaio avrebbe fatto ancora più freddo si decise di giocare lo stesso.
Sfortunatamente le previsioni avevano sbagliato: il fronte artico si mosse più velocemente, facendo precipitare il termometro a temperature ben più basse del previsto, ma ormai era troppo tardi. Un altro mito è che l’Ice Bowl sia stata la partita dei playoff NFL con la temperatura più bassa di sempre: nel 1981, l’Afc Championship che vide di fronte al vecchio Riverfront Stadium di Cincinnati i Bengals ed i San Diego Chargers si giocò in condizioni ancora più pesanti. Quel giorno il vento riuscì a far precipitare la temperatura ancora più in basso, a -50° Celsius, tanto da valere alla partita il soprannome di Freezer Bowl. Ancora una volta e in maniera più netta, fu la squadra del nord ad avere la meglio sui rivali: vinsero i Bengals 27-7.
Una leggenda metropolitana che, invece, è del tutto vera è quella che dice di come molti tra i protagonisti della famosa partita per poco non riuscirono ad arrivare al Lambeau Field per il gran freddo. Come successe a tantissimi altri spettatori di Green Bay, il defensive back dei Packers Willie Wood si ritrovò con la batteria a terra quando provò ad avviare la sua auto quella mattina. Ci riuscì grazie all’aiuto di un inserviente di una vicina stazione di servizio, il quale ricorda come, salendo in macchina, il giocatore gli disse che “con un freddo del genere sicuramente oggi non si giocherà”. Un fatto decisamente curioso coinvolge i protagonisti meno celebrati di quella partita: gli arbitri.
Il capo arbitro Norm Shachter si rese immediatamente conto che arbitrare in un clima del genere non sarebbe stato affatto semplice. Appena fischiò l’inizio della partita, il suo fischietto di metallo gli si congelò tra le labbra. Quando provò a levarlo, si portò via un pezzetto di pelle. Il linebacker dei Cowboys Lee Roy Jordan ricorda bene come “l’arbitro continuò a sanguinare per tutta la partita. Aveva la camicia piena di sangue, fino alla cintura”. La cosa fu notata subito dalla Nfl che, da quel momento, decise che gli arbitri avrebbero usato fischietti di plastica, per evitare problemi del genere.
Abbiamo già detto dei problemi che molti giocatori ebbero nel recuperare dopo l’esposizione al gran freddo: Jethro Pugh non riuscì più a recuperare l’uso delle mani dopo il quasi assideramento. La storia di Hayes con le mani sempre in tasca, invece, è una quasi leggenda: se Mercein dice che la difesa dei Packers capì subito quando stava per essere chiamato in gioco, in realtà il ricevitore dei Cowboys, che sarebbe poi entrato di diritto nella Hall of Fame, quel giorno riuscì a ricevere tre volte il pallone, per complessive 16 yards. Certo non una produzione al livello del suo talento ma nemmeno troppo male per uno della Florida, che la neve l’aveva vista solo in cartolina. L’ultima leggenda metropolitana è invece verissima: quando nel 2008 Dallas tornò a giocare al Lambeau Field nella post-season, diverse centinaia dei tifosi che erano riusciti a resistere al gran freddo del 1967 erano sempre lì, al proprio posto, per vedere la partita.
Gli storici dei Packers dichiararono all’epoca al Milwaukee Journal Sentinel che, diverse centinaia di tifosi si sarebbero seduti più o meno al solito posto, nonostante lo stadio sia stato ingrandito e ristrutturato nel frattempo. La cosa, in fondo, non dovrebbe sorprendere nessuno: i Packers a Green Bay sono una vera e propria religione, con la lista di attesa per un abbonamento stagionale a livelli da record. Non è strano per i genitori di iscrivere alla lista il proprio figlio appena nato: visto che ci sono ben 81000 persone in lista, molti tifosi aspettano in media 30 anni per il privilegio di pagare migliaia di dollari per seguire le partite casalinghe dei propri amatissimi Packers.
La gara che fece i Packers
Specialmente a Green Bay, dove a parte il football succede poco o niente, quella partita non la dimenticherà mai nessuno, inclusi i 50000 che faticarono a resistere alla tentazione di fuggire dalle gelide poltroncine gelate del Lambeau Field. Le loro storie, raccontate nel libro del giornalista Tony Walter The Ice Bowl: the game that will never die sono uno spaccato dell’America profonda, quella che oltreoceano è raramente raccontata in dettaglio. Quel giorno Tony c’era, un 22enne studente universitario che faceva avanti e dietro dal campo di gioco alla camera oscura dell’Associated Press all’interno dello stadio. Ricorda come rimase per gran parte della partita con le mani in mano, visto che le macchine fotografiche e le telecamere si congelarono quasi subito.
Le storie che racconta sono quelle di un veterano del Vietnam, che seguì la partita alla radio mentre montava di guardia, un volontario dei Peace Corps, l’iniziativa voluta dal presidente John Fitzgerald Kennedy, che si trovava in Argentina e chi allo stadio c’era e non riesce a ricordare altro che il gran freddo. Subito dopo il triplice fischio, la gente si gettò in campo per tirare giù i pali e portarseli a casa ma Walter non ricorda niente del genere: “volevo solo correre in macchina ed accendere a palla il riscaldamento”. Eppure a Green Bay sono parecchi ad avere un pezzo di quei pali come souvenir: Ken e Ed Vanderloop, che a Lambeau Field vendevano la birra, riuscirono a mettere le mani su un grosso pezzo di legno sul quale avevano scritto il nome. Ora l’hanno perso e si mordono ancora le mani per la loro stupidità.
Leggendo il libro ci si rende conto di come, visto il gran freddo, la security si fosse presa un giorno di ferie: ci sono storie di gente entrata senza pagare il biglietto, tifosi seduti a bordo campo, sulle panchine dei giocatori e, soprattutto, di quanto alcool fosse entrato allo stadio quel giorno, una cosa normalmente proibitissima negli stadi NFL. Ci furono tifosi con le proprie macchinette fotografiche che scattarono foto memorabili dei protagonisti e tantissimi che, invece, hanno provato a far credere di esserci stati davvero. Ci sono aneddoti sul tifoso che sciolse il giaccone di un amico provando a riscaldarsi con un arnese fatto in casa mettendo in una scatola di caffè carbonella e liquido per gli accendini, un universo parallelo inimmaginabile ai nostri tempi.
Quello fu forse lo zenit dei grandi Packers di Vince Lombardi, anche se avrebbero continuato a vincere per qualche tempo. Quando Bengtson prese il posto dell’iconico allenatore italo-americano, la favola di Green Bay, la squadra di provincia in grado di umiliare le grandi metropoli, si sgonfiò di colpo. Mercier ricorda come il nuovo tecnico fosse “un ottimo defensive coordinator ma era l’opposto di Lombardi. Non aveva le sue capacità oratorie, la forza, la determinazione: Phil era calmo, tranquillo, riservato. Con Lombardi come general manager non riuscì ad uscire dalla sua ombra, era una specie di fantasma, anche se non voleva entrare nelle discussioni, per non ostacolare il nuovo tecnico. Nessuno avrebbe potuto forse prendere il suo posto ma non funzionò nemmeno nel 1969, quando se ne andò a Washington”.
I Packers ci avrebbero messo decenni prima di tornare in vetta alla piramide del football, trascinati da una coppia di quarterback tanto memorabili quanto sconsiderati, Brett Favre e Aaron Rodgers, gente che all’apparenza non ha niente a che spartire con la mentalità del Midwest, tutta understatement, etica del lavoro e attenzione ai conti. Eppure i Packers, unica squadra senza un proprietario miliardario, con migliaia di investitori privati, molti dei quali proprio di Green Bay, continuano ad andare avanti nonostante tutto e tutti. L’epoca di coach Lombardi è forse irripetibile, come la mistica dell’Ice Bowl, ma una storia come quella dei Packers è unica nel mondo dello sport.
Forse è proprio per questo che quella partita, giocata in uno stadio costruito a pezzi e bocconi da una cittadina dispersa nelle pianure congelate del Wisconsin, è entrata così fermamente nell’immaginario collettivo dei tifosi di football. Fa parte della mistica dello sport, ricorda un tempo diverso, nel quale la parola “sacrificio” aveva ancora significato e grit non era solo la traduzione dell’odioso neologismo “resilienza”. All’epoca facevano parte del DNA di un paese diverso dagli altri fin dalle origini.
Oggi l’America è smarrita, in lotta con sé stessa ma ricorda ancora
con emozione quell’insensata, assurda partita nel gelo artico di Lambeau Field. Chissà, forse è proprio da memorie come questa, semplici, oneste e genuine che potrà tornare ad immaginare un futuro comune.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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