Shizo Kanakuri, il maratoneta che si addormentò in gara

La surreale storia del podista giapponese che alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912 si fermò in un giardino per bere e finì la gara più di mezzo secolo dopo

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In Giappone è praticamente un idolo. Anche perché si tratta del nuovo recordman mondiale nella lunghezza dei 40km di maratona: ci mette 2 ore, 32 minuti, 45 secondi. Abbastanza per convincere l'impero del Sol Levante a spedirlo alle Olimpiadi che si tengono a Stoccolma, nel 1912. Tra l'altro è la prima volta che un atleta di questi luoghi partecipa ai Giochi. Il viaggetto lo sovvenziona l'università di Tokyo. Salendo sulla scaletta dell'aereo, Shizo Kanakuri sorride a trentadue denti.

La gara è fissata per il 14 di luglio, ma chi si aspettava che il clima svedese elargisse fresche folate, deve subito ravvedersi. Trentadue gradi. Pare di essere sul bagnasciuga in Sicilia. Gli sportivi che non si aspettavano quel contesto torrido faticano già durante la ricognizione del giorno prima, quando si trotterella per immaginarsi la gara. Shizo no. Si è allenato ad ogni temperatura e scrolla solennemente le spalle. Per lui non fa alcuna differenza. Unico accorgimento: vuole evitare di sudare troppo per non disperdere liquidi e forze. Quindi si impone di evitare di bere lungo il tragitto. Strategia kamikaze, come appurerà da lì a poco.

Torme di incitatori a bordo strada. Lo sparo a salve che scuote l'aria. Si comincia. Shizo sa di essere un mattatore e parte spregiudicato, più forte degli altri. Tiene il suo ritmo soltanto il sudafricano McArthur, che gli rimane incollato. Il sole però bussa forte. La calura, mista allo sforzo, si fa sentire. Giunto al trentesimo chilomentro Kanakuri è stremato per la sete. Mentre altri sono riusciti ad abbeverarsi in qualche modo - anche se l'organizzazione osteggiava i punti ristoro - lui no. Disidratato, sfibrato, sul punto di collassare. D'un tratto però, inattesa oasi salvifica, compare alla sua destra il giardino di una casa dove stanno tenendo una festicciola. Ballano e sorseggiano succhi di frutta. Troppo allettante per non concedersi una piccola deviazione.

Shizo entra nel giardino e subito gli offrono un succo, che tracanna avidamente. Poi un altro. Poi il padrone di casa fa anche di più. Siccome lo vede stanco, gli dice di sedersi due minuti su quel divanetto comodo che ha lì in giardino. Tanto sono giusto pochi istanti, poi può lanciarsi al recupero. Stordito, Shizo accetta. Da seduto inizia a piegarsi. La palpebra cala per lo sforzo ed il calore ammorbante. Si assopisce irrimediabilmente. E nessuno lo sveglia, pensando che sia troppo stanco.

La gara intanto prosegue e finisce. McArthur trionfa. Gli organizzatori si accorgono che il giapponese è disperso. Partono le prime ricerche, prive di esito. Viene chiamata anche la polizia, per un controllo a tappeto. Shizo si desta quando ormai è sera. Dapprima stranito, ci mette poco a realizzare quello che è successo. E per la vergogna lancinante fugge prendendo un treno a Sollentuna, la cittadina in cui si era fermato, per tornare in Giappone. Di lui si perdono le tracce.

Ricompare soltanto dopo la prima guerra mondiale, quando partecipa a due gare - nel 1920 e nel 1924 - senza sortire risultati importanti. L'onta e il disonore si sono attenuati, ma per la Svezia resta comunque una persona scomparsa. E così rimarrà fino al 1962 quando, in occasione dei cinquant'anni da quelle Olimpiadi, un giornalista svedese viene incaricato di provare a rintracciarlo. L'impresa, clamorosamente, riesce. Shizo vive in Giappone, è ultra settantenne, padre di 6 figli e nonno di 10 nipoti. Durante la chiamata la verità sul suo conto viene finalmente a galla.

E quando, nel 1967, lo invitano in Svezia per celebrare il 55° anniversario di quelle fatidiche Olimpiadi, lui accetta. Torna a Sollentuna. Rivede il giardino della casa in cui si era fermato per refrigerarsi ed aveva finito per poltrire. Parla con il figlio della persona che lo ospitò. Poi mette un paio di scarpe comode e chiude quella finestra con il passato.

A settantasei anni suonati, oltre mezzo secolo dopo, finisce quella corsa rimasta mozzicata. Il conto aperto più lungo di sempre. "Meglio tardi che mai" potrebbero averlo inventato quel giorno.

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