Ventuno anni fa la mafia ha stroncato la sua vita, a soli 37 anni, trucidandolo barbaramente perché colpevole, da magistrato, di fare il suo dovere. E ora, esattamente 21 anni dopo quel maledetto 21 settembre del 1990, Rosario LIvatino, il «giudice ragazzino» come lo definì una volta Francesco Cossiga suscitando un vespaio di polemiche, rinascerà in un certo senso alla vita. Sì, perché proprio nell'anniversario del suo barbaro assassinio la Chiesa di Agrigento aprirà il processo diocesano di canonizzazione del magistrato.
La data è stata scelta dall'arcivescovo di Agrigento, monsignor Francesco Montenegro, che ha accolto l'istanza presentata dal postulatore, don Giuseppe Livatino. Nella seduta pubblica, che si celebrerà nella chiesa San Domenico a Canicattì, la parrocchia di Rosario Livatino, tutti i componenti il Tribunale giureranno di agire sempre e comunque per il bene della Chiesa e firmeranno i verbali di apertura ufficiale dinanzi all'arcivescovo. Nel periodo successivo avverrà l'escussione dei testi indicati dal Postulatore e lo studio di tutti gli scritti editi e inediti del Servo di Dio (le due conferenze pubbliche, le agendine, le lettere).
Proprio mentre divampa lo scontro tra politica e magistratura, un giudice si avvia a diventare santo. A testimoniare sulla santità del giudice Livatino saranno soprattutto quanti hanno conosciuto direttamente il "piccolo Giudice" di Canicattì. Ma ci sarà anche chi lo ha potuto apprezzare solo indirettamente e successivamente, come Elena Valdetara Canalò, guarita da un linfoma che l'avrebbe portata alla morte e per i medici incurabile. Tra i testimoni locali i anche l'attuale presidente del Tribunale di Agrigento, Luigi D'Angelo, colleghi magistrati, personale di cancelleria ed avvocati ma anche religiosi, laici e semplici cittadini, i tanti che hanno avuto modo di conoscere direttamente il magistrato ma soprattutto l'uomo.
Rosario Livatino fu ammazzato a soli 37 anni mentre senza scorta, nonostante le delicate inchieste di cui si occupava, andava in tribunale, ad Agrigento. La sua figura colpì anche Papa Giovanni Paolo II, che lo definì «martire della giustizia ed indirettamente della fede».
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