Domenica il barone Scarpia torna sul palco della Scala per dare la caccia all'evaso Angelotti, torturare l'eroico Cavaradossi e soprattutto concupire la bella Tosca. Con un'astuzia e una mancanza di scrupoli che lo pongono in cima alla classifica dei «più cattivi» della letteratura. Anche se Victorien Sardou, che scrisse il dramma da cui Giacomo Puccini trasse poi l'opera, non se l'era inventato ma si era ispirato a un «sbirro» borbonico, capace di ingannare e far fucilare pure i suoi amici d'infanzia.
Sardou rappresentò il suo dramma nel 1887 con Sarah Bernhardt nella parte della cantante Floria Tosca. Quasi un romanzo storico perché le vicende sono correttamente ambientate nel loro periodo e i personaggi attinti dalla realtà. Le peripezie di Tosca, orfanella accolta in un convento di Verona dove studia musica per poi diventare una grande artista, ricorda molto la vita di Angelica Catalani, nata a Venezia nel 1785 finita in un monastero di Sinigaglia da cui esce come celebre cantante lirica. Mentre il nome di Cesare Angelotti, «console della spenta Repubblica Romana», ricorda quello del medico Liborio Angelucci, effettivamente console della Repubblica Romana nel 1799, sfuggito però alla forza e rifugiatosi in Francia.
Ma soprattutto il barone Scarpia. Nell'opera di Puccini si fa solo riferimento al cognome e al suo titolo nobiliare, mentre nel dramma di Sardou si aggiunge il nome di battesimo, Vitellio, e l'origine, siciliana. Ma a questo punto è necessario ricordare il quadro storico in cui matura l'azione. Sull'onda dell'entusiasmo per la vittorie delle truppe francesi nella Penisola, nel 1799 Roma e Napoli insorgono, cacciando papa Pio VI e il re Ferdinando di Borbone. Il sovrano borbonico riorganizza il proprio esercito, si allea con gli austriaci, riprende il trono e prosegue le operazioni militari fino a entrare in Roma. Cadute le due Repubblica inizia la persecuzione dei patrioti, usando come sgherri personaggi diventati tristemente noti per la loro ferocia come Gerardo Curcio, soprannominato «Sciarpa», barone siciliano giunto a Roma al seguito del Cardinale Ruffo proprio per soffocare la Repubblica Romana.
Curcio avrebbe fornito alcuni spunti a Sardou anche se forse gli elementi essenziali per tratteggiare Scarpia potrebbe essere giunti da un altro personaggio, ancora più crudele e spietato: Vincenzo Speziale, le cui iniziali corrispondono a quelle di Vitellio Scarpia. Speziale (1760-1813), prima pretore a Palermo, poi Procuratore Fiscale con funzione di assicurare l'adempimento delle leggi ricorrendo anche alla tortura, diventa nel 1799 membro della Giunta Statale per processare i repubblicani. Secondo i suoi contemporanei «Egli non aveva ribrezzo d'insultare villanamente i carcerati, ed i loro congiunti» mentre «giungeva talvolta ad alterare i processi per provare il delitto che non si dimostrava». È noto anche per tendere spietati tranelli agli imputati, come fa con Nicola Fiani di Torre Maggiore, su cui il tribunale non aveva trovato prove per una condanna a morte. Speziale, suo vecchio e fraterno amico, lo convoca, si offre di aiutarlo, lo fa confessare e quindi lo manda al patibolo. Per meglio convincerlo gli avrebbe detto: «Come amico ad amico parlando, concertiamo i modi della tua salvezza».
Una frase incredibilmente simili a «Volete che cerchiamo insieme il modo di salvarlo?» che lo Scarpia di Puccini rivolge a Tosca nel 2° atto mentre inizia a tessere la sua tela per avere Tosca senza però rinunciare a uccidere il pittore. Un tela che si dipanerà il 22, 26 e 28 aprile e il 2, 6, 9, 11, 12 e 15 maggio sul palcoscenico del Piemarini, direttore Nicola Luisotti, regia Luc Bondy, scene Richard Peduzzi, costumi Milena Canonero.
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