Ambiente, sfida a Bruxelles per difendere l’auto italiana

da Roma

Andrea Ronchi, ministro delle Politiche comunitarie, sa bene che che l’incarico affidatogli da Palazzo Chigi è più una mission impossible che un tentativo di pressare gli altri soci della Ue a 27.
Ma gli ordini sono ordini e il rischio di una «deindustrializzazione» della penisola, elevatissimo. E così ieri, di buon mattino, ha preso la via di Bruxelles per inaugurare un ciclo di trasferte (sarà anche a Varsavia, Parigi, Berlino e ancora Bruxelles) per cercare se non di frenare, almeno di rimodulare la «direttiva 20-20-20» che Nicolas Sarkozy e Josè Manuel Barroso, ma anche Angela Merkel, vogliono vedere arrivare al traguardo entro fine anno. In soldoni, l’Europa ha stabilito un piano per cui entro il 2020 si deve giungere all’abbattimento delle emissioni di gas serra del 20%, alla riduzione dei consumi energetici del 20% e all’incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili di un altro 20%. Tutte cose lodevolissime, ma almeno per l’Italia, dai costi altissimi. E non solo per il bilancio pubblico, ma per centinaia e centinaia di aziende (in particolare il settore dell’auto, ma anche la produzione di acciaio, alluminio, piastrelle e cemento) c’è il rischio concreto di essere messe in ginocchio se non ci sarà una revisione di quantità e tempi o una rimodulazione delle direttive.
Nel testo messo a punto un anno e mezzo fa, a esempio, per abbassare le quote di anidride carbonica si vuole che le auto debbano arrivare a emettere, a livello di gruppo produttivo, solo 122 grammi entro il 2015 e 95 nel 2020. Facile per le marche, specie quelle tedesche, di grossa cilindrata; un disastro per le vetture più piccole come quelle che si producono da noi. Ronchi, che ieri ha aperto il suo giro d’appuntamenti incontrando i parlamentari italiani a Bruxelles (chiedendo loro al di là degli schieramenti politici» di difendere gli interessi nazionali), poi il presidente della commissione Industria dell’Europarlamento Angelika Nibler, tiene a rilevare come l’Italia «condivida pienamente lo spirito del pacchetto energia-cambiamenti climatici», ma fa anche presente che rischiamo grosso se non si deciderà di procedere con maggiore elasticità.

Fin qui, tanto la presidenza francese che la Commissione sono stati molto rigidi, rifiutando le nostre richieste di revisione (in commissione Industria la posizione italiana è già uscita sconfitta sul primo pacchetto di emendamenti presentati), ma Ronchi pensa di giocarsi un atout importante: alla crisi dei subprime americani che ha colpito anche l’Europa non si può rispondere con aggravi dei costi che ci penalizzerebbero rispetto alla produzione asiatica. Prima controprova del lavoro iniziato ieri dal ministro delle Politiche comunitarie, il Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre, dove si esaminerà la questione tra capi di Stato e di Governo.

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