"Amlo", picaro e guascone di scrittura sincera

Romanziere e vignettista, era un maestro della parola. Aveva 65 anni ed era il fratello dello scrittore Diego

"Amlo", picaro e guascone di scrittura sincera
00:00 00:00

Troppi anni a sognare la rivolta degli uomini liberi, quelli senza dimora, senza appartenenza, dissidenti alla meschinità del tempo, cani sciolti che si annusano quando si incontrano e magari hanno letto Camus e non hanno nulla da perdere se non i loro sentieri poco battuti, dove cercano una traccia di infinito. Ora sembra che quella rivolta la stiano facendo: se ne stanno andando.

L'ultimo è partito ieri, Amleto De Silva, che fu tutto e non lo fu invano, guascone napoletano cresciuto a Salierne, galantuomo, fromboliere di parole, provinciale troppo colto e sagace, visceralmente perbene, per cercare udienza a Roma, marinaio sopravvissuto del Pequod, chiamatelo Ismaele, per molti un pirata, sicuramente un signore, maestro di scrittura sincera, perché di quella creativa in giro ce ne sta fin troppa, uno che ammira Mario Giobbe e se non sapete chi sia allora non è davvero il caso di darsi troppe arie, un nobile dal cuore così grande da poter sfoggiare sul petto la maglietta nera di You Porn, uno sberleffo, una tenzone, un graffio di risata, un narratore che beati coloro che lo hanno letto e ascoltato, un picaro nato Don Chisciotte, e ora ricordati di chiudere il periodo, perché Amleto De Silva all'età percepita di 65 anni, dopo un Natale qualunque e a due giorni dal 2025, tanto per rispettare e farsi beffe della tradizione e degli almanacchi, senza per questo contraddirsi, all'improvviso non ha più trovato il respiro, lasciandoci senza fiato.

«Amlo», che poi è il modo più breve per battezzarlo, è stato in principio una firma della satira, quella che se ne frega di tutto e di nessuno. Erano gli anni leggendari delle vignette su Cuore e Smemoranda e delle collaborazioni con il Corriere della Sera. Qui però c'è da parlare, con poche parole, soprattutto dei suoi romanzi, perché se si vuole dissacrare la banalità del pensiero in fila per tre almeno per sbaglio vale la pena di leggerli. E non solo per quello. È commedia umana e letteratura forte. È la disavventura di un aspirante scrittore, finito nei circoli intellettuali di famiglia, di La nobile arte di misurarsi la palla (Roundmidnight Edizioni). È la Napoli spossata e fancazzista di Statti attento da me, con prefazione di Sergio Claudio Perroni, un altro che se ne è andato. È la provincia malandata che arriva in L'esemplare vicenda di Augusto Germano Poncarè (LiberAria), capolavoro di personaggi che la vita riesce a rendere così veri. È l'occhio compassionevole di «Amlo» che rende sferzante il ritratto di chi, per sua fortuna, non si rende conto della sua ricercata imbecillità. È l'epica raffinata di Il pugilatore, viaggio intorno a Sonny Liston (Les Flâneurs). Liston che è la faccia sporca di Cassius Clay. Sonny l'analfabeta, l'alcolista, il pregiudicato, l'ex galeotto, l'orso cattivo, il pugile della mafia. Sonny il genio che faceva invidia ai geni (scrittori, giornalisti, politici, osservatori) americani. Liston ha avuto tante vite quanti pugni in faccia. Sonny un perdente che «Amlo» non poteva non amare. Amleto che non era «indie», ma semplicemente indipendente. È Bocca mia mangia confetti (Rubbettino) in una Salerno dove tutto è periferia di qualcosa. È qui che Totonno smette di parlare e nessuno se ne accorge.

L'ultimo romanzo è un atto d'amore verso gli

invisibili, quella sgangherata umanità che imita la vita virtuale senza averne il cinismo e il cuore. Una banda di scemi (Rubbettino) è una meraviglia.

«Amlo» ci ha lasciato un pennacchio bianco e chi lo trova saprà perché.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica