Anche quei due sono figli della Gialappa’s

Paolo Brusorio

da Milano

Li chiamiamo tutti figli della Gialappa per comodità anche se nessuno, sul passaporto, ha Cologno Monzese come luogo di nascita artistica. Insomma, non è Zelig dove c’è chi arriva ancora vergine, ma un laboratorio per iniziati, un corso avanzato e accelerato di comicità. Perché in quegli studi non si finisce per caso e nemmeno per caso si decolla. Lì, radiocomandati dalla triade Gherarducci-Santin-Taranto, sono diventati grandi, hanno preso aria, tormentoni e mai polpettoni. Il marchio se lo portano in giro ovunque, nelle serate, al cinema e nei teatri, gli ultimi sono De Luigi e Cortellesi, ma la lista è infinita.
Il divertimentificio non ha mai chiuso, ma quando se ne andarono Teocoli e Gnocchi (Caccamo e Rubagotti, Vettorello e Ninetta De Cesari, dicono niente?) Mai dire gol pareva azzoppato per sempre. Resisteva Antonio Albanese, già Alex Drastico per tutti, che inventò Frengo e stop, allucinante e allucinogeno cantore del Foggia di Zeman. Per dire: «Al 14’, proprio mentre il nostro giocatore del Tavoliere delle Russie, Kalashnikov, metteva a segno la rete dell’uno a zero, Nirvana mi guardava dritto negli occhi e mi sussurrava: “Senti Frengo e Stop (o Cigliedelaup’), come mai nei nostri incontri non c’è mai il secondo, e tantomeno il terzo, il quarto, per non parlare del quinto tempo?”». Ecco l’Albanese di quegli anni, con quella faccia di gomma si inventò poi Pierpiero, il giardiniere di Arcore, frecciate in casa del padrone. Poi cinema e teatro, altre strade. E dal cilindro di Cologno uscirono nuovi conigli. Francesco Paolantoni, già cupido di Arbore in Indietro tutta, capace di saltare dal Robertino di Ho vinto quaccheccosa? a Ruggero De Lollis, improbabile attore impegnato con dolcevita brechtiano; Paolo Hendel con Carcarlo Pravettoni («un uomo che in soli sei mesi di lavoro è riuscito a riportare in attivo tutta la concorrenza») e Daniele Luttazzi, già sessuologo nella notte di Raitre, qui Panfilo Maria Lippi, lettore a modo suo delle notizie, Target era il nome del rotocalco. Il tutto prima di altri Luttazzi, fuoriprogramma infuocati.
E Bebo Storti. Adesso fa sit com, cinema e teatro impegnato e il consigliere regionale in Lombardia, ma il Conte Uguccione («Chi trova un amico... gli tromba la moglie»), il bergamasco nero leghista Alfio Muschio («drogati e comunisti») e Thomas Prostata, scrittore pulp in overdose tarantiniana, ti facevano sballare la mascella. Erano gli anni di Aldo, Giovanni e Giacomo. Già con Paolo Rossi in Su la testa, con la Gialappa diventarono fenomeno. Gli arbitri, gli acrobati, i tre tenori, Huber-Rezzonico-Gervasoni. E i sardi: «L’Italiano è un dialetto, il sardo è una lingua. Voi avete l’accademia della crusca, noi quella della bottarga». Il Cuccureddu come dizionario, e la sarrigna e il patagaserru. Dopo? Tre uomini e una gamba, tutto esaurito in teatro, incassi miliardari. Più tardi arrivò Maurizio Crozza con Sacchi e la sua umiltè e poi Neri Marcorè direttamente da Per un pugno di libri.

Sotto l’ala della Gialappa diventò Piccinini, Schifani, Minghi, ora è il nuovo attore feticcio di Pupi Avati, fa il serio, ma a guardarlo scappa da ridere e viene in mente il «suo Gasparri». E le donne? Ventura, Littizzetto, Marcuzzi, Massironi. Bastano i nomi. E vedere quanta strada hanno fatto.

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