Angela: «La Tv spazzatura? Salva i bilanci delle aziende»

Il pioniere dei divulgatori: basta lamentarsi, per avere una Rai di qualità bisogna triplicare il canone

Laura Rio

da Milano

«Che inutile lamentela! O si cambia tutto oppure non si può prendersela con una parte dei programmi, che sono tra l’altro quelli che portano i soldi». Piero Angela, l’icona della Tv «di qualità», il giornalista che da ben trentacinque anni spiega agli italiani la scienza e la storia, l’uomo di cultura che prima di essere un divulgatore è un lettore e ricercatore onnivoro, con quel suo modo di fare cortese ma fermo, gentile ma deciso, non ci sta a farsi trascinare nel gioco di quello che dall’alto del suo piedistallo giudica la tv spazzatura. E se Ciampi e Casini (la settimana scorsa) ammoniscono produttori e dirigenti invitandoli a essere più responsabili e a mettere al bando reality e show gossippari, Angela non si allinea al presidente della Repubblica. Anzi rimbalza subito la palla alla politica. «Per cambiare la Tv - spiega - basterebbe una legge di tre righe: finanziamento esclusivo con il canone. Come per la Bbc: due reti pubbliche pagate dal cittadino. Ovviamente bisognerebbe triplicare la tassa: così la televisione di Stato sarebbe sganciata dalle regole commerciali, come per Raitre».
Difficile pensare che gli italiani paghino di più...
«Si abbonano a Sky, che costa di più, possono fare lo sforzo di spendere soldi per la Tv pubblica, ovviamente in cambio di una qualità diversa».
Il suo è un bel sogno: per ora è lo sciocchezzaio catodico a fare ascolto e quindi incassi...
«Infatti: se la regola resta che i finanziamenti derivano dalla pubblicità, ben vengano reality e trasmissioni scandalistiche. Non dimentichiamo che un punto di share in meno significa cento miliardi di vecchie lire perse all’anno. Chi se lo può permettere? Nessuno. Allora facciano una legge o stiano zitti».
Tutte le reti, non solo quelle pubbliche, hanno il dovere di coniugare qualità e ascolti...
«Infatti, da tanti anni faccio la stessa proposta: introdurre bonus fiscali per le aziende che scelgono per i loro spot dei programmi culturali. Un’altra idea è che gli investitori pubblicitari devolvano l’un per cento di quello che spendono in spot in un fondo per finanziare programmi di qualità».
Insomma, fantascienza...
«È l’unico modo per uscire dalla spirale. Un Paese moderno ha bisogno di cultura e solo la Tv la fa arrivare in maniera capillare in tutte le case. Non bisogna andare a prenderla in libreria».
Quali sono i programmi di qualità?
«Purtroppo quelli che vanno in onda a ore impossibili o su canali piccoli. Alcuni, come quelli di Fabio Fazio, Irene Bignardi o l’ultimo di Bonolis, possono invitare alla riflessione».
E quelli spazzatura?
«Non mi piace fare classifiche. Mi incuriosiscono le Tv locali: i venditori di quadri, materassi, pentole o quelli che leggono i tarocchi sono dei maestri. Osservarli è come andare alla scoperta di un pezzo d’umanità».
Superquark non sfugge alle regole commerciali: va in onda durante le feste di Natale o d’estate...
«In prima serata ci vogliono i grandi numeri. E con la scienza non si fanno. Soprattutto se si è costretti a fare due ore di programma, quando la durata ideale di un documentario è 52 minuti. Anche se noi abbiamo buoni share (nelle 15 puntate estive la media è stata del 21,07), sono già contento di restare in onda».
Perché non trasferirsi in seconda serata nei mesi invernali?
«Non esiste più la seconda serata, il prime time si prolunga fino alle undici e mezza. Ormai si va a notte fonda».
A Natale ci saranno tre speciali di Superquark (Raiuno, ore 21): Carlo Magno (domani), Gengis Khan (il 21 dicembre) e Napoleone Bonaparte (il 28). In tanti anni di ricerca c’è qualche argomento che ancora non ha trattato?
«Tanti. Tantissimi: più uno si addentra nella ricerca e più gli orizzonti si allontanano all’infinito. Non si hanno abbastanza anni di vita per leggere e studiare tutto. Per me non esiste un argomento specifico, ogni tessera ha un senso se collocato in un mosaico».
Nel suo nuovo libro (Ti amerò per sempre) ha cercato di coniugare un sentimento insondabile come l’amore con la biologia...
«Sono partito dai miei lavori sulla riproduzione. E ho cercato di rileggere l’evoluzione culturale della coppia (soprattutto la nuova indipendenza della donna di oggi, che non ha più bisogno della protezione maschile per allevare la prole) alla luce della natura dell’uomo, così diversa da quella animale, tra cui non esiste il modello della coppia stabile».
Lei è un pioniere della divulgazione scientifica (iniziò nel ’69 facendo documentari dedicati allo sbarco sulla luna), in tanti l’hanno seguita, ora il concorrente più forte è la Tv satellitare: su Sky ci sono documentari di ogni tipo tutto il giorno...
«Sono ottimi. Il rischio però è di avere un pubblico altamente specializzato. Compito mio e della tv pubblica è di arrivare a tutta la gente».
Insieme a Mike Bongiorno, è uno dei nonni della Tv: non si stanca mai?
«Ah no... fin quando potrò lavorare, continuerò».


E poi andrà avanti suo figlio Alberto (con cui collabora nel programma Ulisse che riparte a primavera)...
«Lo so che siamo criticati, accusati di monopolismo. Ma la nostra è una piccola bottega artigiana. Nessuno dei due è dipendente della Rai. Presentiamo progetti: se non piacciono, siamo sul mercato».

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