Le violenze di Capodanno in piazza del Duomo a Milano sono colpa dello Stato. Questa è l'estrema sintesi del femminismo militante, e di sinistra, di Non una di meno, che dopo 18 giorni da quella che per gli inquirenti è stata taharrush gamea, ossia la pratica della violenza di gruppo in pubblica piazza diffusa nei Paesi di fede musulmana, hanno ritrovato la voce. Sono 8 per ora le donne, di diverse età, che hanno segnalato di essere state vittime delle molestie di Milano, e diverse di loro hanno già denunciato. Gli investigatori hanno già individuato anche alcuni responsabili grazie alle immagini delle telecamere.
Le femministe aprono il comunicato ammettendo che «sono stati commessi diversi atti di violenza nei confronti di alcune ragazze che erano lì per festeggiare il Capodanno. Siamo dalla parte delle giovani donne sopravvissute, siamo con loro». Tuttavia, non riescono a non mettere il «ma», spostando il punto focale e deresponsabilizzando gli aggressori.
Nella nota affidata ai social scrivono: «Avete annullato tutti gli eventi pubblici e culturali di socialità. Avete inaugurato zone rosse liberticide. Avete soffiato sul fuoco della paura, dell'allarmismo, della desolidarizzazione. Continuate a strumentalizzare la violenza di genere a fini razzisti, utilizzando impropriamente la parola straniero solo per far credere che le violenze e le molestie siano una prerogativa di chi ha origini non italiane e non di una cultura patriarcale diffusa in tutto il mondo». Eppure, fino a prova contraria, le violenze condotte in piazza del Duomo la notte del 31 dicembre sono opera di stranieri e immigrati di seconda generazione, «nordafricani» e «asiatici», come le vittime hanno descritto gli autori di quell'abominio.
La violenza sulle donne, accusano da Non una di meno, «a voi fa comodo per gli interessi economici e politici degli speculatori urbani e degli avvoltoi in Parlamento».
Dividono tra «voi» e «noi», dove il «noi» è per assunto assoluto la parte buona e il «voi» quella cattiva. E parlano di «capro espiatorio» incarnato negli immigrati per quanto accaduto a Milano. È vietato far notare che a fare violenza di gruppo in piazza del Duomo, chiudendo le donne in un recinto di corpi maschili per toccarle e molestarle a turno, cercando di eludere il controllo, sono stati gruppi di stranieri, perché si viene accusati di essere razzisti. Questo è, purtroppo, un problema nel problema. Eppure, basterebbe guardare uno dei tanti video che circolano in rete per notare che in quella piazza di italiani ce n'erano veramente molto pochi, al punto che gli stessi immigrati hanno esultato a favori di camera a suon di «Milano è Egitto», per esempio.
Negare l'esistenza di sfumature culturali che non sono integrabili nella società occidentale alimenta quei comportamenti. Il taharrush gamea è un vero e proprio rituale punitivo contro la donna per spaventarla, mortificarla e farla pentire di aver partecipato alla vita pubblica, che in certe realtà è ad appannaggio della componente maschile. Il giovane immigrato che in tv ammette senza vergogna che «se io fossi ubriaco e vedessi una come questa, farei la stessa cosa» è parte del problema. Le femministe che negano tutto questo sono parte del problema.
La donna occidentale ha conquistato la propria libertà dopo anni di lotte ora rischia di vedersela nuovamente strappare da una cultura che la vede solo come strumento riproduttivo, come un oggetto utile a cucinare, allevare i figli e soddisfare gli appetiti maschili. Eppure, il femminismo, quello vero, nacque per difendere ben altri principi.
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