Alessandro M. Caprettini
da Roma
Turchia in Europa: si va ai supplementari. Per evitare uno scontro frontale che avrebbe comportato il cartellino rosso per Ankara - reclamato da ciprioti, greci, francesi ed austriaci - la Commissione Barroso presenta oggi la sua relazione sullo stato delle cose, omettendo però la propria «raccomandazione», che sarà invece contenuta nel rapporto che verrà inviato al summit dei capi di Stato e di governo in calendario a metà dicembre.
A palazzo Breydel giurano che non si tratta di passare la patata bollente al Consiglio, ma semmai di concedere qualche settimana in più ad Ankara per verificare se in un mese il governo di Tayyp Erdogan si decide a varare le promesse riforme o continuerà invece a fare orecchie da mercante. Nel rapporto che sarà reso noto questoggi - stando alle indiscrezioni che circolano da giorni - la bocciatura ci starebbe tutta: le forze armate «continuano ad intromettersi in questioni di politica estera ed interna», persistono seri «ostacoli alla libertà dopinione», si registrano ulteriori «casi di maltrattamenti e tortura», nonché episodi di corruzione, per non parlare del permanere di «insufficiente protezione delle minoranze e della mancanza di indipendenza della magistratura».
Ma questo è il meno. Perché a tutto ciò si aggiunge lormai famosa questione cipriota che è il vero nodo gordiano del negoziato. Comè noto Cipro fu invasa dai turchi nel 74 e divisa in due. Da quel giorno Ankara, che pure ha firmato nel 2005 il protocollo sullunione doganale e la libertà di circolazione, non solo non riconosce Nicosia, ma impedisce ai greco-ciprioti laccesso sul suo suolo: persone e cose. Più volte Erdogan è stato «ammonito» sulla questione.
Ma il premier fa finta di nulla. Anzi, peggio: visto che mesi fa è tornato a ripetere che «la Turchia non è disposta ad accettare pressioni». Sarà che la maggioranza dei suoi concittadini (di ieri i risultati di un sondaggio che vuole il 70% dei turchi contrari ad aprire a Nicosia, contro un 20% disposto a farlo per entrare nella Ue più un 10% di indecisi) fa da freno, ma anche lultima mediazione tentata dai finlandesi, che prevedeva un tavolo congiunto per lo scorso 5 novembre, è saltata per decisone turca. «Alcune cose erano accettabili, altre no», ha tagliato corto il ministro degli Esteri della mezzaluna Abdullah Gul (la cui presenza è oggi annunciata a Roma per un convegno).
Così Barroso, davanti al «niet» sparato dai commissari cipriota Kyprianou (salute), greco Dimas (ambiente), francese Barrot (trasporti) e austriaca Ferrero Waldner (relazioni esterne) che avrebbe portato a una rottura insanabile con Ankara, ha deciso di concedere qualche settimana in più ad Erdogan. Tempo che permetterà anche a qualche governo dei 25 di farsi le idee più chiare. La Germania ad esempio, che dal 1° gennaio assumerà la presidenza della Ue, è fortemente divisa sul tema. Il ministro degli Esteri Stenmeier (socialdemocratico) è a favore della prosecuzione del negoziato. Stoiber, leader popolare bavarese ne chiede limmediata chiusura. La Merkel sta nel mezzo; fa sapere di «volere una soluzione e non un conflitto», ma non è convinta di aprire le porte ad Ankara.
Anche Prodi oscilla. Con Blair ha auspicato che il colloquio prosegua. Ma in una intervista al Financial Times ammette che se il rapporto della commissione dovesse esser negativo «naturalmente ci sarà la sospensione».
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