Il neo ministro Aldo Brancher è stato un po’ troppo zelante. E frettoloso. Non ha avuto neppure il tempo di sedersi al ministero giusto che già si è giocato il jolly: legittimo impedimento. Troppa fretta. In questi giorni mondiali, di calcio sfortunato, non è una grande idea dare un assist facile alla squadraccia di Di Pietro. E la foga di Brancher vale il passaggio sbagliato di De Rossi da cui è nato il primo gol della Slovacchia. Il ministro senza dubbio ha le sue ragioni. Questi, per lui, sono giorni caotici, di girandole e porte scorrevoli, che si aprono e si chiudono. Si è ritrovato in una sorta di gioco dell’oca delle caselle occupate, semplificazione no, federalismo non se ne parla, programma neppure, attuazione sì, si può fare ma Bossi lo vuole all’Agricoltura. Un po’ di confusione è legittima. Ha spiegato che non ha chiesto sei mesi di rinvio. «Ho dato disponibilità per il 7 ottobre. Poi, per me va bene anche agosto, ma i tribunali sono chiusi». La domanda allora è: era davvero necessario chiamare in causa il legittimo impedimento? Un mese, tre mesi, sono così fondamentali? Cosa ha da fare il ministro? La risposta è un po’ stiracchiata: «Devo organizzare il mio ministero. Sono solo e non ho neppure il capo di gabinetto». È un po’ come dire:devo mettere a posto i cassetti. Devo rifarmi l’ufficio.E messa così non funziona. L’opposizione sul legittimo impedimento ha costruito un romanzo.Non ha mai accettato l’idea che gli impegni di governo non sempre ti permettono di stare in tribunale. Non hanno mai criticato certe provocazioni che arrivano dai palazzi della giustizia. Berlusconi incontra un leader straniero? Zac. Convocato. Berlusconi ha un consiglio dei ministri? Zac. Convocato. Queste cose l’opposizione non le vede. Non le vedrà mai. È per questo che il ministro Brancher non deve abusare di ciò che è legittimo, ma comunque delicato. Rinviare il processo per una questione di cassetti da mettere in ordine svaluta la norma. La indebolisce. La rende fragile. La appanna. Questa fretta fa pensare male. È un autogol nei confronti del governo, della sua coalizione, del suo premier. È quella difficoltà che ha questa maggioranza nel non cacciarsi nei guai. Un atteggiamento che spesso sa di superficialità, di poca attenzione, di scarsa cautela. In questi giorni difficili, con la manovra in approvazione, con la politica che arranca, con la miriade di ostacoli che frenano l’azione di governo, perfino con l’Italia fuori dai mondiali, c’è bisogno di creare polemiche? Magari no. Magari non è proprio il caso. La riforma della giustizia è uno dei passi fondamentali per questo Paese. I dubbi su una magistratura che sconfina sovente nella politica non sono un’invenzione di Berlusconi. È il dazio che la seconda Repubblica paga a Tangentopoli. È quel confine tra i due poteri che si è rotto. Tutto vero. Questa è un’Italia che deve cambiare.
Ma è soprattutto per questo che un ministro appena in carica non può, come primo atto, invocare il legittimo impedimento. Apre una crepa su un discorso sacrosanto. È, appunto, un maledetto assist alle ragioni di Di Pietro e dei suoi alleati extrapolitici. Il jolly di Brancher delegittima il legittimo impedimento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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