Autodistruzione perbenista dell'Occidente

Quindicimila firme. È il numero di adesioni all'appello per escludere Israele dalla 60ª Esposizione internazionale d'arte della Biennale di Venezia

Autodistruzione perbenista dell'Occidente
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Quindicimila firme. È il numero di adesioni all'appello per escludere Israele dalla 60ª Esposizione internazionale d'arte della Biennale di Venezia, curata dal brasiliano Adriano Perosa e intitolata «Stranieri ovunque» (involontaria, perfetta, definizione della condizione attuale degli ebrei). Non è la prima volta che succede che un Paese politicamente controverso venga escluso da una manifestazione culturale o che per ragioni geopolitiche uno scrittore venga privato di un premio oppure che a studiosi e artisti venga impedito di esibirsi. È successo tante volte in passato, è successo di nuovo dopo l'invasione dell'Ucraina, sta succedendo ora dopo l'attacco del 7 ottobre a Israele. Ricordate la decisione della Scala di togliere la direzione d'orchestra al maestro russo Valery Gergiev, colpevole di non aver condannato pubblicamente Putin? E l'Università Bicocca di Milano che cancella il corso di Paolo Nori su Dostoevskij, per «evitare ogni forma di polemica, soprattutto interna»? Né si pensi che la censura sia sempre e solo filo-occidentale o anti-israeliana. È di pochi mesi fa la rinuncia della Fiera del Libro di Francoforte a consegnare un premio letterario alla scrittrice palestinese Adana Ghibli, colpevole di aver raccontato un remoto episodio (risalente al 1949) di violenza anti-palestinese di soldati israeliani. Queste forme di boicottaggio non coinvolgono soltanto il mondo della letteratura e dell'arte, ma spesso invadono lo spazio dello sport o quello della scienza, tutti ambiti la cui prerogativa fondamentale dovrebbe essere la più rigorosa autonomia rispetto alle pressioni politiche. Si è parlato in anni recenti di esclusione degli astronauti russi dalla Stazione spaziale internazionale e si è persino arrivati a escludere gli atleti russi e bielorussi dalle Paralimpiadi.

Niente di nuovo, dunque? Non esattamente. Il lavoro di distruzione dell'autonomia delle sfere protette luoghi in cui persone di diverso credo, diversa etnia, diverso pensiero, sapevano interagire con reciproco rispetto sta investendo sempre nuovi ambiti. E sta assumendo una forma ben precisa nella scuola, nell'università, nelle associazioni. Quello cui si assiste in questi ambiti è un fenomeno del tutto nuovo e fino a ieri inconcepibile: la duplicazione degli scopi. A gloriose istituzioni che avevano come obiettivo, ad esempio, la conoscenza (università), la trasmissione del patrimonio culturale (scuola), la cura dei disturbi mentali (associazione degli psicologi), vengono imposte dall'esterno finalità estranee, che interferiscono pesantemente con il conseguimento dei loro obiettivi originari.

Gli statuti delle università (soprattutto americane) vengono riscritti, prescrivendo il perseguimento della giustizia sociale anziché della verità e della conoscenza. La missione centrale degli insegnanti diventa l'inclusione sociale, piuttosto che la crescita intellettuale degli allievi. E agli psicologi che presentano i loro paper a un convegno, non viene richiesto che le loro ricerche siano scientificamente solide ma che siano utili nella lotta per l'eguaglianza, l'inclusione e l'antirazzismo. Accade così che lavori mediocri ma politicamente corretti vengano preferiti a lavori rigorosi ma impolitici. E di conseguenza che nelle carriere razza, genere e idee politiche contino più di conoscenze, talento, risultati scientifici o artistici. Detto per inciso: grazie a questa follia, la più grande associazione di psicologi sociali (la Society for Personality and Social Psychology) ha di recente dovuto rinunciare a Jonathan Haidt, uno dei suoi membri più illustri, contrario alla politicizzazione della disciplina. Anche questo fa parte dell'autodistruzione dell'Occidente. Perché questo ce lo scordiamo sempre in Cina, in India e nei Paesi emergenti di tutto ciò non v'è la minima traccia.

E questo per un ottimo motivo: le istituzioni con una missione bifronte non funzionano, perché i nuovi obiettivi sociali troppo spesso mettono a repentaglio la missione originaria di quelle istituzioni. Gli altri lo sanno benissimo, per questo non ci imitano.

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