Oh, si continua a parlare della banana di Cattelan, stavolta però in versione strappalacrime e comunistoide, come ha appena fatto la giornalista Sarah Maslin Nir sul New York Times, andando a beccare chi? Un certo Mr Alam, che sarebbe un povero immigrato settantaquattrenne con un carretto di frutta a New York dove è stata presa la banana.
Quando ha saputo il prezzo a cui è stata venduta, «si è messo a piangere», e «con la voce rotta ha detto che «non ho mai visto così tanti soldi, non ho mai visto così tanti soldi». Una storiella che sarebbe molto commovente se avesse una logica, perché il signor Alam non ha venduto un biglietto di lotteria vincente, e quella banana non ha niente di speciale, è una banana come un’altra. Già adesso il suo acquirente l’ha mangiata e sostituta con un’altra banana.
Si può essere sorpresi che Cattelan ne abbia fatto un’opera anche senza un gran senso di per sè (ignorando però tutto il meccanismo dell’arte), ma che sia riuscito a farla battere all’asta per sei milioni, e questo è probabilmente il senso della banana di Cattelan, e farne del moralismo poverista è essere fuori dal mondo. Andy Warhol diceva «Per me l’arte è fare affari», e nessuno si è mai lamentato che le sue Marilyn non fossero dipinte ma serigrafate da foto per poi andare chiedere quanto aveva pagato una sua tela Andy Warhol senza fare neppure lo sforzo di dipingerci, cose superate dall’inizio del secolo scorso, signore mie.
Comunque sia, cara Sarah del New York Times, vuoi usare la banana di Cattelan per fare una morale marxista al mondo? Tu stessa indosserai, come minimo, un paio di scarpe Nike magari pagate duecento dollari e cucite da un cinesino che ne guadagna 10 al mese, non credo tu vada a intervistarlo.
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