I giudici, il cavillo e l'incubo: risarcire tutti i clandestini

La sentenza: nessun atto è sottratto al controllo Così le toghe hanno ribaltato il voto del Senato

I giudici, il cavillo e l'incubo: risarcire tutti i clandestini
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«N on è dato sapere se gli odierni ricorrenti siano o meno realmente i naufraghi coinvolti nella vicenda della motonave Diciotti, non essendo stata prodotta alcuna documentazione da cui poter evincere tale circostanza»: così il governo si era opposto davanti alla Cassazione alla richiesta di risarcimento dei danni da parte dei migranti che sostenevano di essere stati trattenuti nell'agosto 2018 a bordo della nave della Guardia Costiera al largo del porto di Catania. Secondo gli avvocati dello Stato, non c'è alcuna prova che M.G.K. e gli altri fossero davvero tra i 177 profughi. Ma le Sezioni Unite della Cassazione, che venerdì condannano il governo a pagare, non affrontano nemmeno la questione. Come se non fosse cruciale.

Non è l'unico passaggio notevole della sentenza che ha sollevato le ire del governo. Gli ermellini presieduti da Ettore Cirillo per condannare il governo devono aggirare la decisione del Senato che il 20 marzo del 2019 rifiutò - con il voto anche del Movimento 5 Stelle - la autorizzazione a procedere per sequestro di persona contro il ministro Matteo Salvini, chiesta dal tribunale di Catania. È la stessa accusa per cui Salvini è stato processato e assolto a Palermo per un caso uguale, quello della nave Open Arms, e che per la nave Diciotti si è fermata prima ancora di arrivare a processo, dopo il voto del Senato. Con quel voto il Senato riconosceva che Salvini non aveva agito per motivi personali ma nella sua qualità di ministro. La Cassazione aggira l'ostacolo dicendo che il blocco dei migranti era un atto amministrativo e non politico. Ma il Senato aveva detto espressamente che «anche un atto amministrativo può avere finalità governative», e quindi non può essere sottoposto al controllo giudiziario.

Di fatto Salvini venne così sottratto alla giustizia penale, ma lui e il governo vengono condannati dalla giustizia civile: nonostante la stessa sentenza di venerdì della Cassazione riconosca che negare effetti civili al voto del Senato «potrebbe apparire non conforme a razionalità del sistema». Ma la Corte va avanti per la sua strada e condanna il governo, in nome dei diritti umani: «principio cardine di uno Stato costituzionale di diritto è la giustiziabilità di ogni atto lesivo dei diritti fondamentali della persona».

Gli effetti immediati della sentenza sono limitati, anche perché solo uno dei 43 profughi che aveva fatto causa allo Stato ha poi firmato il ricorso in Cassazione, e ieri il ministero degli Interni si dice «tranquillo» e prevede che la decisione dei giudici sarà «sostanzialmente ininfluente» sulla gestione dei flussi dal Nord Africa. Ma i principi sanciti dalle Sezioni unite mettono sotto controllo giudiziario quasi l'intera attività di governo sul fronte dell'immigrazione, aprendo la strada a un numero incalcolabile di ricorsi e di condanne. La sentenza infatti non si limita a esaminare il caso Diciotti, con le presunte violazioni delle regole sul soccorso in mare, ma stabilisce il principio che «l'azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri)». Il termine è talmente vago da ricomprendere potenzialmente di tutto. Le Sezioni unite approdano alla conclusione sconfessando il passaggio della sentenza della Corte d'appello di Roma che aveva respinto le domande di risarcimento dei migranti anche sulla base della necessità di un «bilanciamento tra le esigenze umanitarie e quelle di contrasto del fenomeno migratorio». Nessun bilanciamento, dice la Cassazione.

A rendere tutto più complicato per il governo c'è che non siamo davanti alla sentenza di un singolo giudice ma delle Sezioni unite, l'apice della magistratura italiana, contro il quale non c'è ricorso possibile.

A meno che Palazzo Chigi non scelga di usare l'ultima arma ancora a disposizione, sollevando un conflitto tra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale, sostenendo che sono state lese intollerabilmente le prerogative del potere esecutivo. E a quel punto sarebbe scontro frontale.

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