
Sulla carta dovrebbe essere la giornata in cui ricordare le conquiste sociali, economiche e politiche compiute dalle donne nel corso dell'ultimo secolo e rivendicare i diritti non ancora acquisiti. Un momento di unità in cui riconoscersi, riflettere, al di là di ogni posizionamento politico o ideologico. Nella realtà, purtroppo, all'interno di un contesto in cui vanno in scena tante manifestazioni prive di eccessi, non mancano episodi in cui l'ideologia e la ricerca della contrapposizione diventano gli ingombranti protagonisti, con tematiche che con le battaglie per la parità hanno davvero poco a che fare.
I messaggi che arrivano dalla politica non sono certo all'insegna delle dissonanze. Giorgia Meloni, primo premier donna della nostra Repubblica, ad esempio, saluta in un messaggio social, ricco di gratitudine. «Coraggiose, instancabili, determinate: le donne sono il cuore pulsante della nostra società. Ogni giorno, con forza, talento e dedizione, costruiscono, innovano e ispirano. Il nostro impegno è garantire a ogni donna le opportunità per essere protagonista in ogni settore, senza ostacoli». «I numeri parlano chiaro: l'occupazione femminile ha raggiunto il livello più alto di sempre, superando i dieci milioni di lavoratrici. Un risultato importante - prosegue - ma sappiamo che molto resta da fare per una parità piena in ogni ambito. Le donne non devono più scegliere tra carriera e vita privata. La parità significa assicurare a tutte le donne le condizioni per realizzarsi pienamente, senza sacrificare né il lavoro né la vita familiare. Continueremo a lavorare per creare le opportunità che permettano a ogni donna di esprimere il proprio potenziale al massimo, senza limiti e senza barriere».
Ci sarebbe anche il riconoscimento del femminicidio come reato, secondo il ddl approvato due giorni fa dal governo. Ma le piazze dell'8 marzo o i collettivi femministe lo liquidano come «un provvedimento che inasprisce le pene» o «propaganda. Da Roma a Milano sono migliaia le donne in piazza per i cortei di Non Una di Meno dove si scandiscono slogan e minacce di morte ai ministri Valditara e Roccella. E non mancano altri scivoloni discutibili. A Torino i manifestanti entrano in un Carrefour, azienda accusata di supportare Israele. Gli attivisti attaccano nel supermercato, tra le corsie, adesivi con scritto «Carrefour ti sporca le mani, compra altrove finché sarà complice dei crimini di Israele». Il corteo si sposta poi verso l'ospedale Martini di Torino: davanti alla porta è schierata la polizia in tenuta antisommossa. Le attiviste davanti all'Ospedale urlano lo slogan «sul mio corpo, decido io».
Da Torino a Pisa dove le attiviste, a volto coperto, contestano con volantini e una scritta a terra la Leonardo spa, «azienda leader mondiale nella produzione di armi e compartecipata dallo stato italiano. Contro la guerra, massima espressione della violenza patriarcale, sanzioniamo chi produce profitto dalla distruzione e la morte che si riversa sempre più violentemente su tutti i popoli. Non vogliamo essere né vittime né complici. Siamo con le nostre sorelle in Palestina, in Kurdistan e nella Siria del Nord-Est che resistono ai tentativi fascisti di porre fine alla loro identità, siamo con le nostre sorelle che resistono alla guerra in tutto il mondo».
E c'è anche lo sciopero transfemminista contro violenza patriarcale, guerra e povertà in cui viene detto esplicitamente che «non sono ammesse bandiere israeliane o gruppi che supportano il genocidio palestinese». Nessun riferimento, naturalmente, alle donne rapite e seviziate da Hamas il 7 ottobre.
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