Banksy, Sgarbi e la guerra delle Vergini (antiche e moderne)

La "Madonna di Gaza" del writer inglese: capolavoro o «buco arrugginito» con un graffito intorno?

 Banksy, Sgarbi e la guerra delle Vergini (antiche e moderne)
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Un foro arrugginito sul muro di chissà quale città in chissà quale parte del mondo. E, attorno, il graffito di Maria che tenta di allattare Gesù Bambino. Il buco, sanguinolento, è all’altezza del seno della donna, a rappresentare (e ti pareva...) «la denuncia per gli orrori della guerra». E chi sono le vittime del conflitto? «I palestinesi» (e ti pareva...); non a caso il disegno si intitola «La Madonna di Gaza». L’autore (e ti pareva...) è il writer di fama mondiale Banksy: l'«attivista» per antonomasia, lo Zorro della bomboletta spray, che la «mascherina» (intesa come stencil) la usa non per coprirsi il volto (il suo, presunto, anonimato è ormai garantito dalla leggenda...) ma per realizzare lavori destinati a «creare scandalo»; beh «scandalo», forse sarebbe meglio dire «polemiche», che però, gradualmente depotenziate dal virus della coazione a ripetere, sono divenute sempre più scontate. Dalla notte dei tempi il «dibattito sull’arte» (che è un po’ come dibattere sul sesso degli angeli) si illumina o si spegne - dipende dall’«interruttore» - correndo attraverso il filo elettrico del confronto fra tradizione (arte antica) e modernità (arte contemporanea). L’occasione per tornare sul tema è offerta in queste ore dalla coincidenza di due eventi che stanno all’arte come il cacio sui maccheroni: la già citata opera di Banksy postata sui social (lo street artist «espone» ormai virtualmente nel timore che i suoi graffiti vengano vandalizzati dalle intemperanze umane o dalle intemperie del tempo) e il libro di Vittorio Sgarbi dedicato a sublimi capolavori del passato con oggetto la Natività e il rapporto tra Madre e Figlio nell’arte. Insomma, da una parte la «trasgressione» (in realtà l’ennesimo tributo al populismo iconografico del politicamente corretto) che ha fatto la fortuna del writer britannico mitizzato per la sua - presunta - «identità sconosciuta»; dall’altro la rassicurante bellezza delle Madonne antologizzate da Sgarbi. Ma cosa accade comparando la demagogica «Madonna di Gaza» di Bansky alle immortali «Marie» custodite in chiese e musei? L’occhio allenato non può che cogliere il sovvertimento di prospettiva: un cortocircuito retinico e «ideologico» basato su una constatazione che è estetica e «filosofica» al tempo stesso. E così le vere Madonne «trasgressive» diventano quelle descritte da Sgarbi (ad esempio l’Annunciata di Jacopo della Quercia, la Madonna con il Bambino tra due devoti di Agostino da Lodi, il Riposo durante la fuga in Egitto di Jacopo Bassano): madri che diventano «sacre» in quanto procreatrici di divinità, ma che restituiscono alla divinità (il Nazareno neonato) un’umanità che è propria di una mamma in carne ed ossa che ha partorito una creatura come una qualsiasi mamma «normale». Uno scambievole disegno sovrannaturale che inonda l’anima di domande e di dubbi senza risposta, trasmutabili solo in atti di fede.

In confronto la «Madonna di Gaza» appare banale nel suo «buco arrugginito» posto sul seno e punto di partenza per un’opera buona solo per raccogliere facili applausi. Come quel vecchio spot della caramella Polo, il «buco con la menta attorno». Peccato che i «buchi» siano condannati a rimanere vuoti. Sempre.

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