Articolo 18, la Cgil e il Pd ora sono tentati dalla piazza

Verso un'altra grande manifestazione al Circo Massimo, come quella di Cofferati nel 2002. Ma il governo va avanti: "Addio al posto fisso e vicino a casa"

Articolo 18, la Cgil e il Pd  ora sono tentati dalla piazza

Roma - «Il nostro ok sulle norme che riformano il mercato del lavoro non può essere garantito a prescindere». Il messaggio è di Cesare Damiano, esponente del Pd e ministro del Lavoro dell’ultimo governo di centrosinistra, ma può valere per tutta quella parte dei democratici che sono contro modifiche all’articolo 18. Se il governo andrà avanti per la sua strada, se non ci sarà accordo anche con la Cgil, il Pd potrebbe votare contro. Per il momento non è la linea ufficiale, ma è quella maggioritaria. E sembra tanto la logica conseguenza dei paletti che il segretario Pier Luigi Bersani ha piazzato in vista del rush finale del piano Fornero su contratti, flessibilità e ammortizzatori.

Molte le voci Pd contro la riforma del lavoro, da Rosy Bindi al responsabile economico Stefano Fassina, fino all’ex segretario Cisl Sergio D’Antoni. Pochissime quelle a favore. Tacciono i riformisti come Enrico Letta (che si è limitato ad auspicare un accordo) mentre quelli che sono a favore dei cambiamenti allo Statuto dei lavoratori, come Franco Marini, anche lui ex leader Cisl, tengono un profilo basso.

Il fatto è che gli ultimi sviluppi, le aperture di parte del sindacato, le pressioni di Confindustria, stanno creando più di un grattacapo al centrosinistra. Un disagio che è la replica di quello che sta vivendo la Cgil. Da una parte la voglia di mettere il punto, dall’altra la necessità di non creare problemi a Monti. In questi giorni prevale la prima tentazione. Tanto che nelle stanze del principale partito della sinistra e del primo sindacato è palpabile una tentazione di «rifare il Circo Massimo». Cioè replicare la maxi manifestazione del 23 marzo del 2002, quando la Cgil di Sergio Cofferati, portò in piazza «tre milioni di persone» contro la riforma dell’articolo 18. Ne parla apertamente solo Giorgio Cremaschi, leader della sinistra Cgil. «Bisogna rompere con il governo e rifare il Circo Massimo per fermare Monti come allora Berlusconi. Noi lo chiederemo in Cgil». Susanna Camusso non fa riferimento a mobilitazioni, ma ormai una rottura con il governo e con gli altri sindacati è inevitabile. «Una manutenzione dell’articolo 18 intesa come diminuzione della sua efficacia non è giusta e nemmeno necessaria», ha detto ieri il segretario generale della Cgil. Un messaggio preciso alla Cisl di Raffaele Bonanni e alla Uil di Luigi Angeletti, che hanno deciso di sedersi al tavolo con il governo per chiudere con un accordo (ieri Bonanni ad Agorà di Rai3 ha citato di nuovo il suo zio «Sandrino che faceva il bidello» per dire che l’articolo 18 «è importante», dunque «va mantenuto», ma «c’è bisogno di una robusta manutenzione e alcune inefficienze possiamo anche revisionarle»).

La strada per rivedere l’articolo 18 è più o meno segnata. La norma sul reintegro dovrebbe essere limitata ai licenziamenti discriminatori (per ragioni politiche, culturali, di genere) e quella sui licenziamenti economici estesa anche a casi singoli. Nominalmente l’articolo 18 sarebbe salvo, né abrogato né modificato, ma uscirebbero dall’ambito di applicazione migliaia di lavoratori. Ma nemmeno questa soluzione piace a Pd e Cgil. «Il reintegro per il licenziamento discriminatorio lo do per scontato. Ci mancherebbe altro», avverte Damiano.

«Il tema oggetto della discussione è quello dei licenziamenti per motivi economici che restano sbagliati, soprattutto in tempi di crisi come questi». L’equazione non ha ancora soluzione. Ma il problema sembra più del Pd che del governo.

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