Artigli della Cgil

Negli scorsi giorni gli articoli sul Giornale di Maurizio Sacconi e Giuliano Cazzola, hanno spiegato esaurientemente il valore di due riforme fondamentali del governo Berlusconi: quella del mercato del lavoro (legge Biagi) e quella delle pensioni. Sono scelte che da una parte hanno ridato vigore all'occupazione e dall'altra hanno consentito di gestire con Bruxelles gli sforamenti del deficit di bilancio. Anche l'impostazione fiscale di Giulio Tremonti ha dimostrato la sua validità: la banda tassotti (Romano Prodi e Vincenzo Visco) ha cercato di forzare il meccanismo degli studi di settore sui redditi da lavoro autonomo e spremere così i ceti medi. Ma ha dovuto fare marcia indietro.
Certo ha contato quel paio di milioni di cittadini che il 2 dicembre ha manifestato a Roma. Ha deciso, però, la giustezza di un'impostazione che punta a superare l'evasione fiscale con il consenso non con lo Stato di polizia. Lavoro, pensioni, tasse, su questi temi sono impazziti i governi di tutta Europa, mentre quello italiano ha fatto il suo dovere. Eppure questo non viene adeguatamente registrato nella discussione: in parte per una carente capacità di comunicazione del centrodestra sui temi concreti, in parte per un complesso di subalternità di non pochi settori dell'attuale opposizione. Pesa l'ostilità dell'establishment. Anche articoli di persone intelligenti come Sergio Romano e Mario Monti, che non mancano di criticare severamente il centrosinistra, hanno verso quel che ha fatto il centrodestra un atteggiamento non critico ma di snobistico disprezzo.
Su queste rimozioni della realtà si innesca l'ultimo tentativo dei «rigirafrittate» di salvare il governo Prodi. Si dice: è vero, la Finanziaria fa schifo, Prodi è in stato confusionale, la maggioranza è in guerra con se stessa. Ma c'è l'occasione della «fase 2» che consentirà di rovesciare il corso dell'esecutivo. Vi è chi cinicamente fa intendere come i soldi rubati agli italiani con i mille balzelli di Tommaso-Padoa Schioppa serviranno a comprare il consenso di questa o quella categoria. In questa operazione si danno da fare ambienti confindustriali che non vogliono arrivare nudi di fronte alla base nel momento in cui si chiederà conto delle loro responsabilità. Sulla fase 2 punta larga parte dell'estenuato establishment italiano che considera naturale il compromesso con la sinistra. Queste manovre hanno però sempre più scarso respiro perché uno degli effetti della protesta di questi mesi è avere aperto gli occhi alla gente: quelle che si rivendicano non sono riforme ma controriforme. Le pensioni funzionano come impostate da Roberto Maroni. La legge Biagi ci è invidiata in tutto il Continente. Il fisco tremontiano ha determinato entrate formidabili. Si mette le mani su queste riforme non per necessità ma per i desideri di una Cgil che avvolta nel suo massimalismo è capace solo di imporre soluzioni classiste non modernizzatrici. Ed è l'asse Cgil-Prodi-Rifondazione a tracciare la linea dell'esecutivo.
La forza del blocco controriformista è ampia, le complicità dei rigirafrittate non trascurabili. Però si è alla fine di un ciclo politico: quello aperto dall'editoriale pro-Prodi di Paolo Mieli sul Corriere della Sera prima del 9 aprile, che garantiva come il blocco rigirafrittate e massimalisti fosse in grado di aprire una fase modernizzatrice del Paese.

Questa tesi ha ottenuto la smentita più pesante: quella dei fatti. Il centrodestra ha un unico modo per perdere: non essere consapevole della propria forza e non usarla, non indicando le tappe (con i compromessi necessari) per uscire da questa situazione.

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