Il nuovo volto di Al Qaeda adesso ha gli occhi di una donna

Dai paesi musulmani all'Occidente la rete del terrorismo islamico ha come protagoniste sempre più ragazze. Piazzano attacchi di persona, pianificano attentati, guidano persino gli uomini. Scatenando a volte la ribellione dei più ortodossi. Che però non riescono a fermare

Il viso più carogna è quello di Aafia Siddiqui. Ha 38 anni, è una neurologa pakistana che vive negli Stati Uniti. Dove il 24 settembre scorso è stata condannata a 86 anni di prigione per aver tentato di uccidere nel 2009 agenti del governo americano in Afghanistan. Nei giorni scorsi «As-Sahab», che diffonde i video di propaganda di al-Qaeda, ha mostato immagini di un attacco contro una base dell'esercito pakistano. Il capo era lei, Aafia Siddiqui, che ha studiato nel Massachusetts e ha sposato un parente di Khalid Sheikh Mohammed, considerato la mente degli attacchi dell'11 settembre 2001. Ma non è la sola. A giugno, il vice capo di al-Qaeda nella Penisola araba, Saudi Said al-Shihri, ha diffuso un audio-messaggio in cui ordinava il rapimento dei membri della famiglia reale saudita per rispondere all'arresto di Hila al-Qusair, una vera macchina da guerra nel raccogliere fondi in Yemen per al-Qaeda.

La Bbc non ha dubbi: sono le donne che cominciano ad emergere nel gruppo terroristico più odiato del pianeta. La rete tv lo rivela sul suo sito in un lungo dossier: racconta di donne che hanno o hanno avuto un ruolo chiave negli attentati o nell'organizzazione stessa.

Mentre il jihadismo tradizionale relegava le donne a un ruolo di sostegno dei militanti uomini, si assiste ora a un cambiamento di ideologia e, nella recente letteratura salafita, si parla di donne come parti attive nelle operazioni armate», ha spiegato Hassan Abu Haniya, esperto di terrorismo che vive ad Amman. Non manca chi si oppone a questo sviluppo, primo tra tutti Ayman al-Zawahiri, numero due di Osama Bin Laden. A dicembre scorso sua moglie ha diffuso una lettera aperta in cui chiedeva alle donne musulmane di sostenere il jihad con tutti i mezzi a loro disposizione, esclusa la partecipazione diretta nello scontro. «Non è facile per una donna - spiegava - e inoltre le è proibito muoversi senza essere accompagnata da un parente di sesso maschile. E la jihad richiede mobilità».

Ma nonostante l'autorevole monito negli ultimi tempi gli attacchi messi a segno da terroriste sono notevolmente aumentati, soprattutto perché le donne destano meno sospetti degli uomini e sono spesso sottoposte a minori controlli di sicurezza. Lo stesso ex leader di al-Qaeda in Iraq, Abu Musab al-Zarqawi, ucciso a giugno 2006, si era convinto dell'utilità del ricorso a donne terroriste, dopo che, nel 2005, la belga Muriel Degauque piazzò il primo attacco suicida di una donna in Iraq. Da allora, se ne contano almeno 500.

Il ricorso alle donne si è progressivamente esteso ai paesi occidentali, come dimostrano i casi della belga Malika al-Aroud, tuttora sotto processo in Belgio per «incitamento al jihad», e della statunitense Colleen LaRose, nota come «Jihad Jane» accusata di «aver cospirato per uccidere un uomo svedese e aver tentato di reclutare militanti attraverso Internet con l'obiettivo di commettere atti terroristici all'estero». A fine settembre poi il sito israeliano di intelligence «Debka» ha rivelato un piano di al-Qaeda nel Maghreb islamico per inviare in Europa decine di donne terroriste provenienti dall'Algeria, con l'obiettivo di condurre attacchi a Parigi e in altre città del continente.

E solo la scorsa settimana le autorità francesi hanno annunciato l'arresto di un gruppo di terroristi che pianificavano attacchi nel Paese, tra i quali c'era anche una donna. Qualcuno dice c'entri il divieto di velo, la difficile integrazione, i dibattiti continui su entrambi i temi. Ma l'odio integralista ha tante facce. E adesso anche gli occhi di una donna.

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