Gentile Direttore Feltri,
si continua a parlare del disagio giovanile. E questo viene elevato a giustificazione di moltissimi avvenimenti dolorosi. La mia gioventù l'ho trascorsa in parte sotto le bombe e ho difficoltà a capire bene questo disagio. Parlando con i giovani trovo molto spesso che le loro aspettative sono incredibilmente maggiori di quelle che poteva sognare la mia generazione. Penso sia normale, tutto sommato,
ma il rischio di delusioni è molto, ma molto cresciuto. Forse sono spesso le aspettative tradite la causa del dichiarato disagio. Oggi, nel mondo lavorativo, non si vuol più «fare la gavetta». E quelli che si trovano in quel tipo di contesto si sentono traditi e delusi. Forse è il troppo benessere di pochi, specialmente quello conquistato per ragioni effimere o per fortuite coincidenze, a creare un finto mondo reale al quale i giovani sognano di giungere. Purtroppo la realtà è fatta di lavori
faticosi e di bollette salate da pagare. Quotidianamente si realizzano sogni infranti e questi provocano un gran disagio.
Manlio Laschena
Milano
Caro Manlio,
non hai affatto torto, a mio avviso. Quello dei giovani è un disagio che scaturisce da un eccessivo benessere, che ha spento la molla più importante che stimola all'azione l'essere umano, ossia il desiderio. Il culto delle cose facili non genera felicità, bensì il suo opposto, poiché soltanto quello che costa fatica, sudore, sacrificio, impegno, è destinato ad appagarci. La responsabilità è dei genitori e di una intera società, che tendono a iperproteggere e iperviziare i fanciulli, a non contraddirli, ad esaudirli costantemente, ad assecondarli, a preservarli dal dolore, come se fosse possibile.
La sofferenza fa parte della vita, sfuggirle significa bloccare lo sviluppo, la maturazione, il processo di assunzione di consapevolezza e di responsabilità. Occorre la caduta per irrobustire le ossa e per imparare a rialzarsi, perché di cadute nel corso dell'esistenza ve ne saranno tante, allora tanto vale apprendere subito che esse fanno parte del percorso e che
non implicano un fallimento irreversibile. Nessun fallimento è definitivo. Esso è solamente funzionale.
Cosa manca oggi? La fame. C'è magari fame di fama, si cerca la popolarità anche a costo di infangare la propria immagine, di ledere in maniera irreversibile la propria reputazione, distinguendosi ed emergendo non per meriti, ma in virtù di crimini, condotte sporche, comportamenti indecorosi, in quanto la popolarità è diventata un metro per misurare il proprio valore sociale: tanto più si vale quanto più è alto il numero di cuoricini sui social network. Per me è una vera e propria idiozia. E il valore umano, l'unico che conti davvero, dove sta? Dovrebbe essere recuperata la fame di riscatto, quella che avevamo noi insieme alla fame che derivava anche dalla deprivazione materiale del dopoguerra. Ora è tutto costruito, non resta che demolire. Ed è questo spirito distruttivo e autodistruttivo a caratterizzare i ragazzi contemporanei. Allora era tutto demolito, non restava che costruire. E noi lo abbiamo fatto,
con le nostre mani, ci siamo rimboccati le maniche.
E mi meraviglio ogni volta che sento obiettare: «Sì, ma voi siete stati fortunati, quelli erano tempi migliori, oggi è tutto più difficile per i giovani». Macché! Adesso è tutto più agevole: comunicare, spostarsi, viaggiare, informarsi, scegliere, farsi conoscere, mostrare i propri talenti, e potrei continuare. Sfatiamo dunque questo mito che vorrebbe noi nonni quali giovani avvantaggiati del passato.
Come se non bastasse, dopo che abbiamo sgobbato tutta la vita, questi nullafacenti ci accusano pure di rubare loro il lavoro, la pensione, lo spazio nella società. Cose che noi abbiamo conquistato e che nessuno ci ha mai regalato. E soprattutto - ed è questo il punto essenziale - nessuno di noi nutriva l'aspettativa malsana o la pretesa folle che qualcosa gli fosse dovuta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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