
Dr. Feltri,
a proposito del suo reportage da San Luca del 1989, come in tutti i comuni della Calabria, anche a San Luca la popolazione è diminuita. So di un solo comune calabrese in cui la popolazione è rimasta quasi stabile. Ma si spiega: al segretario comunale interessava che la popolazione fosse di un certo numero per permettere l'assunzione di un suo parente come medico di base. Allora suggerendo ai napoletani proprietari di seconda casa in questo comune di far figurare un loro congiunto come residente otteneva il risultato di aumentare il numero degli abitanti, e i proprietari evitavano di pagare l'Imu. Per il resto si legge che la Calabria era allora in pieno boom economico. Avranno perfezionato il modo di aumentare le entrate con pensioni di vecchiaia, disoccupazione, accompagnamento e provvidenze varie. L'integrazione corre ma le olive pendono sempre dagli alberi.
Leonardo Chiarelli
Caro Leonardo,
non mi risulta affatto che si sia verificato un boom economico in Calabria. Gli indici nazionali certificano da un paio di anni una crescita generale dell'occupazione, anche giovanile e femminile, del benessere, della produttività, ma certe regioni del Sud, la Calabria in primis, permangono in acque più o meno stagnanti e non si può addossare la colpa sempre alle istituzioni nazionali, al governo, allo Stato. Penso piuttosto che gran parte della responsabilità gravi su quelle locali, le quali ne hanno divorati di denari pubblici, e che ci sia di fondo una mentalità, difficile da estirpare, che genera uno stato di rassegnazione nelle popolazioni del profondo Meridione.
Non mi reco in Calabria da decenni, eppure ho l'impressione, ascoltando amici e conoscenti che soggiornano di frequente in quelle zone o che ci vivono, che poco o addirittura nulla sia cambiato da quando, compiendo il mio tour in quella meravigliosa regione in qualità di inviato del Corriere della Sera, sono stato a San Luca e ho scritto il reportage a cui tu ti riferisci. Non sono mutati gli elementi negativi e nemmeno quelli positivi, i quali consistono nella gentilezza, nella generosità e nella accoglienza propria dei calabresi, popolo duro eppure amabile, diffidente ma affabile, o nell'abbondanza che caratterizza la cucina, fatta di piatti succulenti, o nella bellezza del paesaggio, sia quello marittimo che quello rurale e montano. Alla Calabria non manca proprio nulla, è terra ricca di risorse, forse la più ricca che abbiamo in Italia, tuttavia la meno valorizzata e sfruttata. La ricchezza viene sprecata. La bellezza mortificata. La natura maltrattata. Spiagge e monti trascurati. La vocazione turistica poco valorizzata, anzi, diciamo pure per niente, dal momento che non vi sono strutture ricettive. Quindi la domanda ci sarebbe pure, ma l'offerta manca.
Si è imposta l'idea che la salvezza venga da fuori, dall'esterno, che non sia responsabilità dei calabresi fare qualcosa per loro stessi e per la propria terra madre. Anni e anni di assistenzialismo non hanno giovato, come non ha giovato il reddito di cittadinanza, che ha contribuito a insinuare nella testa dei giovani che rimboccarsi le maniche sia inutile, perché tanto in qualche maniera si potrà stare a galla, interverrà qualcuno, la Provvidenza, papà o mamma, lo Stato. È assente l'ambizione, è assente l'orgoglio, quella spinta che ti induce a lottare per compiere qualcosa di grande, per ottenere la tua rivalsa, il tuo riscatto. Ci si abitua pericolosamente alla mediocrità.
Un rischio che aveva denunciato il grande scrittore calabrese Corrado Alvaro, autore di un libro da me molto amato, che ha inciso tanto nella mia formazione giornalistica e umana, ovvero Gente in Aspromonte.Ci si accontenta. Ecco, è questo il punto. E chi si accontenta, caro Leonardo, non gode, ma muore, perché si spegne, cessa di fare, si arrende. Viene sconfitto.
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