
Non è chiaro se sia stato un attacco hacker a paralizzare Spagna e Portogallo. Ma il primo pensiero è stato quello. Perché in fondo ci sentiamo perennemente minacciati e, obbiettivamente, potrebbe capitare da un momento all’altro. In Spagna, in Francia così come in Italia. Ne parliamo con Marco Camisari Calzolari, esperto di digitale e consulente dell’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale.
Ammesso che il black out spagnolo non sia stato provocato da un blitz degli hacker, resta comunque alta la minaccia del blocco dei server. Ovunque.
«Dobbiamo metterci bene in testa che i sistemi informatici sono sempre a rischio. Quando un server viene bucato, non significa che ci sia un sistema di difesa informatica poco sicuro».
Però gli scudi anti hacker sembrano non bastare mai.
«Se da una porta posso entrare io, allora ci può entrare anche qualcun altro. Ecco, nei sistemi informatici funziona così».
Quindi nessun piano di sicurezza sarà mai davvero impenetrabile?
«Proprio così. Chiunque lavori nel settore del digitale lo può dire con chiarezza. La differenza la fa chi arriva prima alla porta: l’hacker o chi si occupa di cybersicurezza. Nel momento in cui gli hacker identificano la vulnerabilità di un server, il proprietario del software non riesce ad evitare il buco. Questo però non vuol dire che non sia abbastanza bravo. Bisogna ff Rischi I settori più a rischio di attacchi sono sanità e aree governative capire fino a che punto un’infiltrazione hacker possa essere evitabile o prevedibile e valutare quanto si sia disposti a investire sulla cybersicurezza».
In Italia come siamo messi sul tema difesa informatica?
«Da alcuni anni abbiamo la Acn, agenzia per la cycurezza nazionale, che si occupa di resilienza ed è guidata molto bene. Lo dico con certezza perché sono loro consulente e so la portata del lavoro capillare e quotidiano che viene fatto. Ma nemmeno questo lavoro è una garanzia al 100% di impenetrabilità. Quello che è accaduto in Spagna sia un monito a riflettere su quante risorse investiamo per proteggere i nostri sistemi informatici».
Abbiamo investito 715 milioni in due anni. È sufficiente?
«A patto che ci permetta di essere più veloci degli hacker, per prevenire i loro attacchi in tutti i modi. Per quanto possibile. Loro puntano tutto sulla velocità. E poi occorrono ore ed ore di lavoro per riparare i buchi che hanno creato, con danni economici e di sicurezza enormi».
Cosa possiamo fare per tutelarci?
«Io suggerirei a tutti i liberi professionisti di dotarsi di un piccolo generatore di corrente per essere autonomi in casi di black out e di attacchi. Non si sa mai, io ho fatto così».
Chi più di tutti deve temere gli attacchi?
«La sanità è l’area più attaccata e più debole. È presa di mira non solo per i black out e per la successiva richiesta di denaro per sbloccare computer e macchinari. Ma anche per il furto dei dati.
A rischio c’è anche tutto ciò che è governativo: in America ci sono siti legali che vendono indirizzi mail e numeri di telefono, compresi quelloi del nostro presidente della Repubblica. E poi ci sono i trasporti: dai treni agli aeroporti. Per quello in Spagna si è pensato subito a un attacco informatico».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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