Lana italiana, da eccellenza a rifiuto: ecco come recuperarla

In Italia ci sono 8 milioni di ovini: la loro lana non avendo più mercato viene spesso smaltita o abbandonata al ciglio della strada dopo la tosatura. Ecco alcune iniziative per recuperarla

Lana italiana, da eccellenza a rifiuto: ecco come recuperarla

Da eccellenza a rifiuto vero e proprio. È la triste parabola della lana italiana autoctona: una volta era molto apprezzata nel mercato della moda, oggi viene soppiantata da quella di Nuova Zelanda, Australia e Patagonia. Queste nazioni, infatti, possono contare su un prodotto più morbido (si pensi alla merinos per esempio) e adatto alle richieste odierne di grandi case e consumatori. Mentre la nostra lana viene praticamente abbandonata. Più ruvida e pesante, ha perso il suo appeal. Scartata, diventa un rifiuto speciale – così ha decretato l’Ue– da spese dei pastori che una volta tosate le pecore devono pure sborsare un prezzo di smaltimento intorno ai 2,50 al chilo

La rete Slow fiber

La lana prodotta potenzialmente da 8 milioni di ovini presenti in Italia si accumula nelle discariche o viene abbandonata nei boschi. Diventa un onere eccessivo per tutto il movimento di pastori che rischia di perdere molte realtà subissate dalle spese di tosatura, lavaggio e smaltimento. Slow food ha lanciato di recente un progetto chiamato Slow Fiber. Si tratta di un network che racchiude sedici aziende del tessile italiano e vuole sensibilizzare il cambiamento produttivo e culturale nel settore. Come? Rendendo tutta la filiera più sostenibile e promuovendo un consumo più consapevole e responsabile. Sul palco di Cheese, la rassegna annuale dedicata al mondo dei formaggi che si svolge a Bra (Cn), ha organizzato un tavolo per ragionare proprio sul problema lana. All’evento, sono state invitate alcune realtà virtuose, che cercano di recuperare questa materia prima in maniera intelligente e creativa.

Slow Fiber

Il nostro maglificio è nato alla fine del '700 – racconta Giovanna Maggia, socia di Maglificio Maggia S.r.l., ad Occhieppo Superiore, Biella, tra le aziende fondatrici di Slow Fiber – inizialmente la mia era una famiglia svizzera di pastori che portava le pecore a Biella. Poi cominciò a dedicarsi alla lavorazione della lana. Perché la lana italiana è in crisi? I consumatori vogliono micronaggi inferiori, quindi abbiamo dovuto richiedere pure noi la lana estera. Ma crediamo tanto nella filiera italiana e stiamo lavorando sulla lana pugliese con la quale abbiamo realizzato un tessuto simil panno casentino”.

Panno casentino che pure ha un passato glorioso. “È stato indossato anche da Audrey Hepburn in 'Colazione da Tiffany', l’abbiamo scoperto grazie al restauro della pellicola – ci spiega Claudio Grisolini, produttore di panno casentino italiano, Tessilnova – Dal dopo guerra con la fine della transumanza la produzione è diminuita sempre di più. Quello che sto cercando di fare io è ritornare alle origini, affermando la qualità di questo tessuto italiano”.

Lana come concime e in cucina

Per ridare linfa alla filiera italiana c’è pure un’altra strada. Oltre a fare un discorso sulla qualità del tessuto, è fondamentale pensare, infatti, a nuovi prodotti concepiti con principi sostenibili. Non per forza nella moda. La lana può diventare infatti un cappotto, ma anche una “cassetta di cottura” da usare in cucina, come ad esempio ha pensato la Cooperativa femminile Filo&Fibra di San Casciano dei Bagni (Si). Questa realtà, “partendo dalle indicazioni in un libretto di una nonna risalente alle Seconda Guerra Mondiale”, come spiega la presidente Gloria Lucchesi, ha “ricostruito” questo attrezzo perfetto per cucinare a bassa temperatura. I cibi vengono cotti prima in una pentola che viene poi inserita all’interno della cassetta che mantiene il calore e lo utilizza per il proseguimento della cottura.

gloria
La cassetta di cottura

"Dentro la cassetta, si può cuocere la polenta o il ragù, senza bisogno di mescolare mai, o la marmellata di arance, senza aggiungere acqua. Stimiamo minori consumi pari a ¼ dell’acqua necessaria per una cottura classica da 250 ml: si risparmiano circa 52 litri l’anno a persona per un pasto quattro volte a settimana. Gli ingredienti si mettono nella cassetta la mattina, la sera, dopo una cottura slow e un po’ di attesa, si trova un pasto genuino pronto", racconta la presidente.

Chiara Agrivello
Chiara Spigarelli di Agrivello con il suo concime ricavato dalla lana

Ma la lana può diventare anche concime. Chiara Spigarelli, zootecnica e fondatrice della start-up Agrivello, trasforma, in Friuli – Venezia Giulia, il vello scartato in pellet fertilizzante 100% naturale, vendendolo a privati e aziende. “Il progetto nasce nel 2021 come risultato di una ricerca scientifica e vuole promuovere i principi di economia circolare. Il nostro concime non ha aggiunta né di oli né grassi – spiega – Un tempo con la lana di seconda e terza qualità si realizzavano materassi e altri oggetti che oggi vengono prodotti con materiali sintetici. La lana non ha richiesta. E in Friuli, ad esempio, i centri di smaltimento non la ritirano perché hanno problemi di gestione. I costi che gravano attorno alla lana riguardano tosatura e lavaggio. Ma se ricaviamo concime possiamo saltare il secondo processo”.

Il problema del lavaggio e della tosatura

“Il lavaggio della lana è il primo passo della filiera – ci spiega Cristina Ferrarini, presidente della Associazione per la promozione e tutela pecora Brogna – ma sono poche le realtà che se ne occupano. Soprattutto vengono penalizzate le piccole aziende che devono spendere più soldi per il servizio. Una pecora produce 1,5/2 kg di lana che si trasformano in 500 g di filato: diciamo che una pecora brogna equivale a un maglione”.

lana

I costi della lana rischiano di influire anche sul core business del pastore che solitamente è il latte o la carne. “La lana viene dispersa per problemi logistici o perché i pastori con un gregge piccolo non riescono a fornire abbastanza quantità per l'industria. Si sta perdendo il valore della lana della razza autoctona. E anche i pastori stanno perdendo affezione. Per i pastori sardi degli anni '70, il valore di 1 kg di lana era uguale a un kg di pecorino, e con la lana facevano la dote alle figlie – afferma Patrizia Maggia, direttrice di Fatti ad Arte e presidente dell’Agenzia Lane d’Italia – Dobbiamo ristabilire la filiera e sostenere prima di tutto i pastori che sono i custodi delle montagne”. Anche la sostenibilità nella moda può essere una spinta ad usare materiale autoctono.

La moda deve lanciare un messaggio sostenibile con le etichette. Le etichette devono essere narranti e raccontare al consumatore da dove viene la materia prima. Un modo per rivalutare la lana? Può essere sicuramente certificare la lana italiana”.

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