Ong in bolletta. Ora usano le barche da diporto e mettono a rischio la sicurezza in mare

Nessun marinaio specializzato e certificazioni specifiche assenti: per risparmiare soldi, gli attivisti salpano su imbarcazioni meno sicure e vanno a recuperare i migranti

Foto dal sito Sarah-Seenotrettung
Foto dal sito Sarah-Seenotrettung
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Le casse delle Ong sembra si stiano svuotando. Al momento nessuna nave sta operando nel Mediterraneo centrale. Quasi tutte si trovano in porto, per la maggior parte a Licata, tranne quelle che hanno da poco sbarcato, Geo Barents, bloccata 60 giorni a Salerno e Sea-Watch bloccata per 20 giorni a Civitavecchia. Poi c'è Mare Jonio, che non è bloccata ma non può uscire per fare soccorso. Gli interventi in mare hanno un costo elevato, il carburante è piuttosto costoso e la maggior parte dei membri dell’equipaggio sono professionisti a busta paga della Ong, di volontari ce ne sono pochi, almeno sulle navi ufficialmente registrate come Search and Rescue.

Se le grandi organizzazioni possono contare sui finanziamenti governativi, soprattutto dalla Germania e dai Paesi Baschi, oltre che su una certa fama che garantisce visibilità, le piccole realtà devono accontentarsi delle briciole e allora tagliano quanto più possibile i costi, anche a scapito della sicurezza. Come? Cambiando tipologia di barche da impiegare. Ci sono almeno tre imbarcazioni nel Mediterraneo che non sono registrate come Search and Rescue ma sono classificate come semplici “pleasure craft”, che letteralmente si tradurrebbe come “barche da piacere”. Sono le classiche barche da diporto, quelle utilizzate per le vacanze e per lo svago, che chiunque abbia conseguito una licenza nautica può condurre e manovrare.

Queste barche hanno, ovviamente, costi di manutenzione inferiori perché non devono essere certificate periodicamente ma, soprattutto, hanno costi di gestione inferiori perché non richiedono personale specializzato per la navigazione. Ad ammetterlo è Olaf Oehmichen, tedesco, fondatore della Ong che utilizza il Sarah, uno yacht di lusso che è stato adattato per le ricerche dei migranti in mare ma che continua a essere registrato come “pleasure craft”. In una recente intervista ha spiegato che “non è necessario personale nautico specializzato. Invece, è sufficiente una licenza nautica da diporto, che semplifica la scelta dell'equipaggio e quindi riduce i costi”.

Ipoteticamente, per effettuare quel tipo di interventi a bordo di barche simili, basterebbe radunare un manipolo di persone con un’esperienza base nella nautica, lasciare gli ormeggi e fare rotta verso sud. L’equipaggio del Sarah pare abbia svolto un addestramento di base con altre Ong al largo delle coste siciliane, ma il problema sicurezza rimane. Nell’intervista fatta a Oehmichen viene spiegato che a bordo dell’ex yacht, che fuori tutto misura circa 22 metri ed è largo 6, possono essere trasportate fino a 100 persone. E ci si chiede se esistano certificazioni a tal proposito.

Le navi impiegate ufficialmente per le operazioni Search and Rescue devono essere certificate e testate specificatamente per garantire stabilità fino a un certo carico, ed essere equipaggiate in maniera adeguata per garantire la sicurezza di tutti, soprattutto delle persone trasportate. Ma così si risparmiano soldi.

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