Potrebbe essere la vendemmia più leggera degli ultimi 6 anni quella del 2023. Le previsioni dell’Osservatorio Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini confermano quello che nel settore si vocifera da tempo. La produzione vinicola italiana scende, secondo il report presentato al Masaf, di poco sotto i 44 milioni di ettolitri ed è in calo del 12% rispetto allo scorso anno.
Una vendemmia complicata dal clima
I motivi? Gli effetti del clima impazzito che con i suoi decorsi imprevedibili e spesso estremi ha determinato differenze quantitative non da poco nell’arco del Paese. Dall’Osservatorio infatti ha stampato la fotografia di un vigneto italiano spaccato. Se infatti il Nord si conferma sui i livelli del 2022 (+0,8% di produzione), il Centro, il Sud e le isole registrano flessioni tra il 20 e il 30%.
Se diamo uno sguardo alla classifica di produzione mosto e uva le stime inquadrano Molise, Abruzzo (-45% e -40% rispetto al 2022) come le regioni in difficoltà. Ma anche la Puglia, la regione che produce le quantità maggiori è in calo del -25%. A tormentare le vigne in queste zone ci ha pensato la Peronospora, di cui si sta parlando tanto, la malattia fungina determinata dalle frequenti piogge che attacca il vigneto e compromette le uve.
Per il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella la situazione non è delle migliori: “È una vendemmia molto complessa quella che stiamo affrontando, caratterizzata soprattutto dagli effetti dei cambiamenti climatici che sul finire della primavera e l’inizio dell’estate sono stati causa di malattie patogene come la Peronospora, alluvioni, grandinate e siccità. La fotografia che emerge dalle previsioni vendemmiali ci indica un calo della produzione di uve piuttosto significativo, soprattutto laddove la vite è stata ripetutamente attaccata dalla malattia”.
I tecnici dell’Osservatorio ribadiscono però come la Peronospora non influisca direttamente sulla qualità delle uve sane, i primi grappoli raccolti destinati alle basi spumante presentano infatti buoni livelli di acidità e interessanti quadri aromatici, che danno positive prospettive enologiche. Per le altre tipologie saranno determinanti le condizioni meteo del mese di settembre e ottobre quando si svolgerà il grosso della raccolta.
“Sul fronte della qualità, il discorso è più complesso. Dalla vendemmia 2023 otterremo sicuramente vini di buona qualità, con punte di eccellenza. Molto – ha concluso il presidente di Assoenologi – dipenderà dal lavoro, a cominciare da quello degli enologi, eseguito in vigna e in cantina. È proprio in queste annate così strane che occorre mettere in campo tutte le conoscenze tecniche e scientifiche per mitigare i danni di un clima sempre più pazzo”.
"Produrre meno e meglio"
La contrazione dei volumi complessiva comporterebbe la cessione del primato produttivo mondiale alla Francia, la cui produzione è stimata attorno ai 45 milioni di ettolitri ( -2% sul 2022). Un “puro dato statistico”, sottolinea l’Osservatorio, che potrebbe dimostrarsi più o meno incisivo a seconda dell’andamento climatico delle prossime settimane, cruciali per portare a maturazione ottimale soprattutto le uve delle varietà più tardive.
Non è detto che la minor produzione sia per forza un problema, dato che si ha a che fare con le numerose giacenze. "La contrazione produttiva di quest’anno non deve costituire un elemento di preoccupazione, visto il livello elevato di giacenze, che ha superato i 49 milioni di ettolitri, posizionandosi come il dato più alto degli ultimi sei anni – ha commentato il Commissario straordinario di Ismea, Livio Proietti –. Il tema non è tanto la perdita della leadership italiana in termini di volumi prodotti, piuttosto il rallentamento della domanda interna ed estera, che sta deprimendo i listini soprattutto dei vini da tavola e degli Igt. Dobbiamo lavorare per ridurre il gap in termini di valore tra noi e la Francia e per rafforzare il posizionamento competitivo dei vini di qualità, facendo sì che anche i vini comuni siano sempre più caratterizzati rispetto ai competitor”.
Per il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi, non bisogna concentrarsi troppo sui primati produttivi, ma piuttosto su altre criticità: “La minor quantità di vino prodotto quest'anno ci ha tolto una medaglia che non era d'oro ma di legno, perché in termini di valore eravamo sotto la Francia. Non ci possiamo più permettere di produrre 50 milioni di ettolitri come nelle ultime vendemmie, e non può essere una malattia fungina a riequilibrare una situazione che ha portato di recente al record di giacenze degli ultimi anni – spiega Frescobaldi –. Sorprende, a questo proposito, come molti si preoccupino ancora di rimanere detentori di uno scettro produttivo che non serve più a nessuno: oggi più che mai si impongono scelte politiche di medio e lungo periodo, a favore della qualità e di una riforma strutturale del settore. Dobbiamo spingere su produzioni più basse ma migliori".
Tra le priorità, "occorre chiudere finalmente il decreto sulla sostenibilità e ammodernare il vigneto Italia, mediamente vecchio, difficile da meccanizzare e costoso da gestire. Serve anche revisionare i criteri per l’autorizzazione 'a pioggia' di nuovi vigneti in base alle performance delle denominazioni, oltre a ridurre le rese dei vini generici e rivedere il sistema delle Dop e Igp, compresa la loro gestione di mercato. Questi sono gli strumenti per consentire al vino italiano di fare il salto di qualità necessario ad affrontare sia la situazione congiunturale dei mercati che i cambiamenti strutturali della domanda e delle abitudini di consumo.
Infine – ha concluso Frescobaldi – occorrerà cambiare marcia sul piano commerciale, a partire dalla semplificazione dell’Ocm Promozione e da una promozione di bandiera capace di coinvolgere le imprese sin dalla sua pianificazione”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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