Gentilissima dottoressa Braghieri, sono uno di quelli che Lei chiama «i ragazzi di adesso» e vorrei dire la mia. Lei afferma che riuscire a trovare un linguaggio comune è un «commovente successo», ma personalmente da figlio penso che l’unico linguaggio comune è quello dell’affetto. Approfitto anche per aggiungere che non deve essere il linguaggio dell’amico. Ritengo che il genitore dev’essere genitore! Gli amici li troviamo a scuola o nello sport. Non è mai accaduto che tra genitori e figli ci possa essere stato un «linguaggio comune» perché c’è pur sempre di mezzo una generazione. È normale (e fisiologico) che esistano attriti ecco perché per me l’unico linguaggio comune è quello di mostrare affetto. Un figlio vuole sentire anche autorevolezza perché nonostante la boria adolescenziale vuole avere una spalla su cui appoggiarci (anche se non ve lo diremo mai apertamente!). Un’altra esigenza di cui un figlio ha necessità è l’esempio morale. Ed io e i miei fratelli su questo siamo fortunatissimi! Se un ragazzo nota due genitori annoiati e insoddisfatti che cercano soddisfazioni e diversivi altrove (perché non siamo stupidi e lo notiamo!) come potrà relazionarsi con una ragazza? Zompando di fiore in fiore come fanno i genitori!
Alex
Caro Alex, intanto complimenti a lei e ai suoi genitori per la sua saggezza. Riuscire a mettere a fuoco la «boria adolescenziale» e ad ammettere la «voglia di autorevolezza» avendo probabilmente appena scavallato il periodo critico, non è da tutti. Anche il «linguaggio comune dell’affetto» è una bellissima riflessione. Per quanto riguarda la generazione di mezzo tra genitori e figli, sono purtroppo costretta a notare che ormai di generazioni, in mezzo, ne abbiamo infilata anche più d’una. Diventiamo genitori tardi e questo altera, a mio avviso, un sacco di meccanismi in un rapporto che un tempo era molto più «naturale». Ci si sente tanto lontani anche anagraficamente e quindi si tenta un avvicinamento e temo lo si faccia nel peggiore dei modi. Finendo con il far mancare quella salvifica autorevolezza della quale, non a caso, anche lei parla. Le regole, prima che un’imposizione, sono un rassicurantissimo confine.
E sono perfettamente d’accordo con lei quando dice anche (e anzi proprio, aggiungerei) nel confuso, terrorizzante periodo di ribellione, si continui a cercare l’autorevolezza dei genitori. Un «recinto» nel quale muoversi sicuri, più che scappare.
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