Fino a poco tempo fa credevo che la parabola di Chiara Ferragni fosse esemplare, perfino in qualche modo biblica. Ora so che è qualcosa di diverso, qualcosa di inevitabile e patologico, e per niente educativo. È infatti rappresentazione, è mimesi assoluta del contemporaneo, che crea da sé i propri nauseabondi tumori e poi a fatica tenta di estirparli. È la sua traduzione feroce, la quintessenza di questo secolo tanto delirante, tanto psicoticamente ansioso di confezionare archetipi a destra e a manca come di distruggerli. Metastasi dopo metastasi. Influencer dopo influencer. Quasi fosse la stessa assurda cosa, come stessimo parlando non di persone ma di meri processi fisiologici.
E una nuova tappa, una nuova movenza in questa sorta di danza d'autofagia è stata aggiunta ieri, dopo che la procura di Milano ha rinviato a giudizio Chiara Ferragni, la quale andrà a processo per truffa aggravata, entrerà dunque
in un'aula di tribunale: lì dove la legge è uguale per tutti e quindi anche per lei, che di cadute ne ha avute più d'una, partendo dalla mala gestione delle aziende e passando per quel celebre passo falso, a qualche giorno dall'inizio del pandoro gate, definito «un errore di comunicazione» e trasformatosi in pochi giorni in un meme mondiale: proprio in relazione a quest'ultimo aspetto si potrebbe entrare nel merito, si potrebbe cioè chiedere a questa donna perché si sia ostinata a difendere l'indifendibile e con quelle modalità. Sul resto invece dovremmo essere più lucidi, considerando il fatto non secondario che Ferragni non è l'unica, in Italia e all'estero, ad aver portato avanti una simile condotta; Ferragni non è la sola, in questo momento storico come in qualsiasi altro, ad aver scommesso su un marketing aggressivo almeno quanto insincero per piazzare un prodotto da vendere: nel suo caso, sé stessa.
Il dubbio allora è se non ci sia in Italia una tendenza estrema a voler processare tutto, ogni aspetto della vita, come
se la giustizia fosse l'unica risposta possibile. Se tutto è reato ogni cosa diventa arbitrio, anche la scelta di chi finisce in tribunale e chi resta sommerso, chi è un esempio da punire e chi no.
Non si tratta perciò di giudicare solo legalmente Chiara Ferragni.
Il punto è considerare il suo operato alla luce del Far West che è stata ed è ancora in larga parte l'attività digitale legata ai social; il punto vero, doloroso e auspicabile, è vedere la sua arguzia imprenditoriale anche in relazione all'arguzia di migliaia di altri lavoratori, per i quali dovrebbero essere celebrate altrettante migliaia di processi. Punirne una per ammaestrarne cento forse non servirà, forse contribuirà a non farci uscire, tutti, da uno dei più insopportabili labirinti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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