Siamo potenti ma che sviluppo è senza la cura del Creato?

Siamo sempre più potenti ma lo "sviluppo umano integrale" passa anche dal prendersi cura del creato

Siamo potenti ma che sviluppo è senza la cura del Creato?
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C'è un peccato nuovo che Papa Francesco ha delineato, ma che non mi è mai capitato di sentire in confessione: è l'ecocidio, l'attentare alla vita della natura. Lo definisce come «un'azione o un'omissione contro Dio, il prossimo, la comunità e l'ambiente. È un crimine contro la pace e l'umanità e come tale andrebbe riconosciuto non solo dalla Chiesa ma anche dalla comunità laica internazionale per creare una cittadinanza ecologica universale». L'attenzione alla natura è la punta dell'iceberg di una «ecologia integrale» che chiede di non inquinare la casa comune e quindi alla premura ambientale è legata un'ecologia sociale ed economica, un'ecologia delle relazioni, un'ecologia valoriale, un'ecologia culturale. Altrimenti è solo «green washing», una pulizia superficiale con una pennellata di verde.

Gli americani hanno delineato i rischi della logica «nimby», ovvero «not in my back yard», cioè «non nel mio giardino»: si pretende dagli altri, dalla politica, dalla Chiesa, dalla scuola, dal lavoro, quello che poi nel proprio privato non si è disposti a mettere in gioco. Tutti si aspettano frutti, ma pochi vogliono far la fatica di coltivare e ancor meno sono quelli che vogliono essere albero, con le radici dei valori, la schiena dritta della coerenza del tronco, la testa alta delle fronde che è autostima piena di dignità e l'apertura di testa, di cuore, di visioni propria dei rami pronti all'accoglienza e all'inclusività.

Mi è sembrato interessante mettere in luce questo tema essendo oggi la Giornata Mondiale di preghiera per la cura del Creato che ha come tema «spera e agisci con il creato». Abbiamo compiuto progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, ma non ci rendiamo conto - ammonisce il Santo Padre - che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi. Un potere incontrollato genera mostri e si ritorce contro noi stessi. Il pensiero di Papa Francesco, simboleggiato dalla prima enciclica ecologica, la Laudato si' sulla cura della casa comune, è un frutto prelibato della lenta coltivazione di alcune idee. Sono nate come semi gettati in modo visionario più di 50 anni fa, quando ancora del tema si parlava poco, poi curate come germoglio e sempre più diventate fertili.

Se è stato Papa Benedetto XVI che ha iniziato a usare l'espressione «sviluppo umano integrale» come principio di un rinnovato umanesimo per un nuovo rinascimento, tuttavia il senso era germinato nel grande campo del Concilio Vaticano II e fu espresso per la prima volta nelle encicliche di Papa Giovanni XXIII Mater et magistra (1961) e Pacem in terris (1963) dove si legge: «Essenziale è l'educazione di forti coscienze che dovrebbero essere gli uomini di azione del futuro. Il bene comune è l'insieme delle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della persona». Il suo successore, Papa Paolo VI, nella Populorum progressio (1967) aveva usato una espressione incisiva: «lo sviluppo umano è il nuovo nome della pace». Il concetto di «umano realizzato» vede la sua maturità in Papa Giovanni Paolo II che lo ha scritto nella sua prima enciclica, dal titolo Redemptor Hominis (Cristo redentore dell'uomo, 1979), e lo ha vissuto nell'ultima, la quindicesima, quella non scritta, che è stata la sua sofferenza.

Papa Francesco attualizza tutto questo lanciando tre inviti: «Urgenza, visione, responsabilità. Non reagiamo abbastanza. Mai l'umanità ha avuto tanto potere su se stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene. L'immensa crescita tecnologica non è accompagnata da uno sviluppo umano per quanto riguarda i valori e la coscienza». Qualcuno potrebbe obiettare che il concetto di «ecologia umana integrale» è bellissimo ma rischia di essere solo un'utopia.

La stessa obiezione fu fatta a Adriano Olivetti che da visionario - a cui la realtà poi ha dato ragione - disse: «Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare ciò che non si ha voglia o capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande».

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