Scorre placida, una bolla di luce gialla su ruote gommate, fluttando svelta sui sampietrini. Quella vettura che si disimpegna tra i dedali romani - un taxi, in verità - è una sorta di cinepresa mobile: ritrae l'anima più profonda della città eterna, facendo salire a bordo storie a tratti surreali che oggi, a distanza di quarant'anni esatti, restano ancora saldamente sedimentate nella memoria collettiva. Nel 1983 Alberto Sordi, regista, interprete e coscenaggiatore, omaggia in modo sperticato la sua città con il film "Il tassinaro". Lui è Pietro Marchetti e il destriero meccanico che conduce si chiama "Zara 87". Quanta diversa umanità puoi incrociare, portando a spasso le persone? Quanto puoi raccontare della tua città, che è poi parte fondante della tua vita, e ascoltare i fatti loro? Sordi se lo chiede in fase di stesura della pellicola. Il risultato, sospinto anche da partecipazioni più che eccellenti, è deflagrante. Tra i molteplici volti che sciamano da una parte all'altra della città eterna ce ne sono un paio, in particolare, che catalizzano lo spettatore. Che ci fanno Giulio Andreotti e Federico Fellini sul sedile posteriore? Siamo ancora nel film o è la vita vera? Sorge da qui una commedia degli equivoci che strappa sorrisi e consensi.
Sale a bordo Giulio Andreotti
Premessa: Alberto e Giulio sono amici nella vita. E non fanno nulla per dissimularlo, anche se nel film l'approccio del tassista pare ossequioso e formale, senz'altro per rispetto del rango istituzionale. In quell'anno Andreotti è Ministro degli Affari Esteri e trovarselo seduto dietro deve lasciarti sicuramente stranito. "Onorevole, questa non è una macchina blindata, ma è comunque robusta", lo rassicura Sordi. Poi rompe il ghiaccio andando sul sicuro, mentre sfila accanto al colosseo: "E questa Roma? Finalmente ci sta dando soddisfazioni eh?". Il passeggero annuisce, ricorda che la tifa e la sostiene da una vita e che forse, adesso, le cose andranno sempre meglio. Poi il discorso si sposta in fretta su due temi di un'attualità evidente: l'università e il lavoro. "Vede onorevole, non perché io voglia una raccomandazione, ma c'ho mio figlio laureando in ingegneria che è scoraggiato, vorrebbe prendere la licenza pure lui. Allora stavo per prenderlo a manate, io che mi sono sacrificato a fare?". Andreotti, serafico, replica che probabilmente sarebbe il caso di mettere un numero chiuso nelle università per fare una prima scrematura di talenti, ma poi aggiunge che lo Stato deve farsi carico di introdurre i giovani al lavoro. E anche che, nel partire da un mestiere più umile non c'è nulla di male. Premonitrice la risposta di Sordi: "A me pare che in Italia, se cominci con il mestiere più umile, con quello rimani finché non muori". I due si salutano con grandi salamelecchi. Quarant'anni fa, ma sembra esattamente oggi.
Federico Fellini: un cameo irresistibile
Altra fermata, altro volto illustre. Apre la portiera Federico Fellini, anche lui grande amico di Sordi. Qui l'improvvisazione quasi prevale, regalando sprazzi di divertimento autentico, anche per le zaffate di surrealismo puro che cospargono l'abitacolo del taxi. Monta davanti il regista, regolando il sedile e chiedendo di abbassare la radio. Pietro quasi non ci crede e si spertica in un flusso di coscienza riassuntivo di tutto il manifesto felliniano: "Tutti gli stranieri mi chiedono di lei e io metto questa musichetta di sottofondo, poi gli racconto di tutti i sogni suoi, dei preti sdentati, delle monache col cappellone, delle cavallerizze, degli zozzoni, dei poveracci". Risponde di smetterla Fellini, anche se ridacchia. Poi dice dove lo deve portare, sbloccando il surrealismo puro: "Ho accettato una particina in un film dell'amico Sordi, ma sono emozionato. Una cosa è fare il regista, un'altra l'attore: io non sapevo nemmeno come vestirmi". Il taxi intanto scorre verso Cinecittà e Pietro gonfia il petto: "Ci vedono tutti, ci guardano tutti, Pietro il tassinaro col dottor Fellini". Quando la macchina accosta lo abbraccia, gli bacia la mano, rifiuta in tutti i modi di essere pagato. Si affaccia intanto Alberto Sordi, che accoglie Federico sulla porta degli studi. "Ma chi è, Sordi?", esclama Pietro, "Chissà che risate che si fanno quei due".
Metacinema puro, galoppante.Il film sfonda ai botteghini: la vita del tassista Pietro, i suoi pregi, le su credenze, le sue contraddizioni, riflettono in fondo in larga parte - impregnati di disincantata ironia - l'italico spirito del tempo.
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