Cara Barbara,
in effetti sono già 35 i suicidi tra le forze dell'ordine dal primo gennaio di quest'anno. In 7 casi si è trattato di agenti della polizia penitenziaria, ma la media dei suicidi risulta alta anche tra i carabinieri, tanto che da una Relazione sullo stato della disciplina militare e sullo stato dell'organizzazione delle Forze Armate (Ministero della Difesa, anno 2022) emerge che i suicidi sono la seconda causa di morte, dopo le malattie, tra i carabinieri.
Tu interroghi me sul perché tra coloro che indossano l'uniforme sia così elevato il rischio di ricorrere ad un gesto estremo. Bella domanda. Evidentemente c'è di fondo un male di vivere che deriva o almeno viene acuito dalle condizioni di lavoro. Sappiamo che i nostri agenti sono sottoposti a turni massacranti, in particolare quelli della penitenziaria, a causa di carenze nell'organico. I compensi sono irrisori, tanto più ove consideriamo che il costo della vita è aumentato notevolmente e gli stipendi non si sono adeguati. Poi bisogna tenere conto dei pericoli che la mansione comporta, quindi lo stress a cui l'individuo è costretto quotidianamente.
Tuttavia alcuni studi danno rilievo ad altri fattori scatenanti: in primis, i problemi familiari e personali, o l'insorgere di disturbi fisici o psichiatrici. I suicidi riconducibili in modo esclusivo al lavoro sarebbero l'1,48%. Eppure mi chiedo come si possa compiere tale distinzione. Io penso che il lavoro abbia un peso superiore, esso è parte essenziale della nostra esistenza. Ecco perché sono convinto che esso incida molto di più rispetto a quell'1%. Forse scomodo è ammetterlo.
Stiamo parlando di professioni totalizzanti, ossia che assorbono completamente chi riveste determinati ruoli, i ritmi sono serrati, a volte si viene trasferiti di frequente, il tempo da potere dedicare alla famiglia, o comunque il tempo libero, è scarso. Inoltre ci si confronta ogni dì con situazioni di malessere e di disagio, con la sofferenza e la disperazione altrui, si ha a che fare con i criminali, ma anche con gente avvilita, vinta, affranta, con persone che soffrono di dipendenze gravi, con vittime e con carnefici. Questo accade in particolare agli agenti della penitenziaria, i quali vivono giornalmente il carcere e i suoi disagi, sebbene non da detenuti, i quali pure si ammazzano di frequente, basti valutare il dato: negli istituti di pena, dove il sovraffollamento ha raggiunto il 130%, abbiamo registrato 64 suicidi dall'inizio del 2024.
Bene, come possiamo credere che tutto questo non lasci un segno nell'animo di chi lo osserva e lo respira costantemente?
Sono convinto che sottovalutiamo il malessere dei nostri agenti. Si ammazzano ma questo non pare essere un nostro problema, invece lo è. Pretendiamo che essi siano sempre performanti, forti, valorosi, che non mostrino segni di debolezza o di cedimento, che incarnino la forza e la sicurezza. Quando intervengono e ricorrono al manganello, come da procedure, ci lamentiamo; quando non intervengono come vorremmo, pure. Li critichiamo. Li accusiamo. Li giudichiamo. Li processiamo. Ci scagliamo contro di loro quando compiono il loro dovere.
Non siamo mai soddisfatti, nonostante essi siano al nostro servizio e dalla nostra parte. Li vorremmo infrangibili. Perfetti. Ma sotto quelle divise, che non sono scudi magici, ci sono esseri umani, con le loro fragilità, paure, incertezze.Esseri umani che hanno bisogno nient'altro che di comprensione.
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