"Stasi ha ucciso ed è già fuori. La legge è dura da accettare"

Ad Alberto permessi per lasciare il carcere e andare al lavoro. La madre di Chiara: "Nessuno ci ha avvisati, è un dispiacere"

"Stasi ha ucciso ed è già fuori. La legge è dura da accettare"
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«Non l'ho sapevo - dice la madre di Chiara - nessuno ce l'ha detto. Abbiamo dovuto saperlo da un giornale. Questo non è giusto, non è umano».

Sono passati una manciata di anni dal 12 dicembre 2015, quando Alberto Stasi varcò accompagnato dalla madre la soglia del carcere di Bollate per scontare la condanna per l'omicidio della sua fidanzata Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nell'estate del 2007. Oggi Stasi continua a dormire nel grande, umano carcere alle porte di Milano. Ma di giorno, da qualche mese, esce a lavorare. Torna ad assaporare la libertà quando il dolore dei familiari della sua vittima è ancora fresco. La notizia è stata rivelata ieri dal Corriere della sera. Non è noto dove Stasi vada a lavorare. «Ma immaginiamoci cosa sarebbe accaduto - dice il legale dei Poggi, Gianluigi Tizzoni - se il papà o la mamma di Chiara se lo fossero trovati davanti per strada».

Signora Rita, cosa ha pensato quando ha saputo?

«Sapevamo che prima o poi sarebbe potuto accadere. È la legge, e la legge non si discute. Ma scoprirlo in questo modo è stato brutto. Noi non è che non siamo nessuno, siamo la parte offesa di questa storia, siamo la famiglia della ragazza che è stata uccisa. Non so in quale modo potevamo venire avvisati, a quale ufficio competesse, se doveva avvisarci il carcere o qualcun altro, ma sono sicura che un modo diverso da questo era possibile».

Il carcere di Stasi è durato meno di sette anni.

«Cosa vuole che le dica... Purtroppo la legge è questa, la legge consente a un detenuto, a uno che è stato condannato, di ottenere dei benefici dopo un certo numero di anni. Gli anni sono passati e ha ottenuto i benefici. A noi, perché siamo i genitori, dispiace che chi ha ucciso Chiara dopo sette anni esca già dal carcere. Capisco la legge ma ci dispiace».

Se Stasi ha già potuto uscire dal carcere è perché la sua condanna è stata a solo sedici anni. I giudici hanno escluso la premeditazione anche se aveva portato con sé l'arma del delitto, che non è mai stata trovata. Non sono pochi, sedici anni?

«Anche qui, abbiamo dovuto accettare quello che prevede la legge. Ha chiesto il rito abbreviato, ha avuto il diritto allo sconto di un terzo di pena (sospira, ndr) ... Per quel tipo di omicidio la pena è di ventiquattro anni, meno un terzo fanno sedici... Cosa possiamo dire? La legge è questa, va bene. Però è difficile da accettare».

È stato giusto escludere la premeditazione?

«Non voglio entrare nel merito, non sono un avvocato, dico soltanto che è stato un processo approfondito, durato otto anni. A lasciarci l'amaro in bocca è solo la sua conclusione».

In questi anni Stasi ha cercato un rapporto con voi?

«Il rapporto abbiamo scelto noi di interromperlo definitivamente poco dopo la morte di Chiara, quando abbiamo iniziato a capire cosa era accaduto. Nei primi giorni non immaginavamo che potesse essere stato lui, ce lo siamo tenuti vicino anche ai funerali. Poi mentre le indagini andavano avanti e gli indizi emergevano abbiamo iniziato a renderci conto sempre di più che era stato lui. E prima ancora che lo arrestassero abbiamo deciso di non volerlo più vedere. Poi è arrivato il processo e abbiamo avuto la certezza definitiva».

C'è chi avanza ancora dei dubbi sulla sua colpevolezza.

«Io ho seguito tutte le udienze del processo, non me ne sono persa neanche una. Quindi posso dirle che la sua colpevolezza non è un mio convincimento, è una certezza che emerge in modo inequivocabile dagli atti».

fa

«Sì».

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