Imparzialità, social e pubblico: il giornalismo secondo l'ex Bbc Tony Hall

Cosa succede quando un proprio dipendente da dei nazisti al governo, come mai non si parla più di Yemen e com'è che il giornalismo può ridare speranza in un mondo di notizie che sembrano parlare solo di disastri? Ne parla l'ex direttore Bbc, Lord Tony Hall

Imparzialità, social e pubblico: il giornalismo secondo l'ex Bbc Tony Hall

In un'intervista a ilGiornale.it lord Anthony William Hall, noto come Tony Hall, il rinomato direttore della sezione notizie della Bbc dal 1993 al 2001 e direttore generale del gigante delle trasmissioni radiotelevisive britanniche dal 2013 al 2020, parla della relazione tra giornalismo e social media, legato al recente caso di Gary Lineker, come aiutare il dibattito pubblico a trovare le storie che contano davvero e gli effetti delle nuove tecnologie sulla relazione tra giornalista e audience.

Lord Hall, partendo dal caso di Gary Lineker delle ultime settimane e vedendo il dibattito pubblico creatosi intorno a esso, quanto è utile per i giornalisti avere una figura pubblica presente anche sui social media?

"Un effetto positivo è che professionisti del settore possono aumentare la loro percezione online. Le persone vorranno, partendo ad esempio dal loro account Twitter, andare a seguire i loro programmi in tv. Questo, immagino, aumenta anche la percezione che la Bbc stia assumendo persone interessanti. Il lato negativo è il venir meno dell'imparzialità, specialmente se si oltrepassa un limite, dicendo improvvisamente cose che non si dovrebbero dire, il che influisce anche sulla percezione che il pubblico ha della Bbc e del ruolo che essa detiene.

Quindi, quando si parla di social media, credo che quello che la Bbc sta facendo è giusto, cioè essere molto, molto severi, perché bisogna essere e rimanere imparziali. Credo che ci sia un'area più grigia, invece, per quanto riguarda il diritto di parola di persone che non sono completamente impiegate dalla BBC ma che fanno parte dei personaggi di alto profilo associati ad essa, e la controversia dell'ultimo fine settimana riguardava proprio questo. Questioni come quella di Lineker sono riflesse nelle linee guida, ma si tratta di decisioni molto difficili e di aree altrettanto grigie. È stato esagerato o no? Credo che i social media rendano tutto più difficile. Ma sono anche dell'idea che la maggior parte delle persone sia più intelligente di quanto pensiamo e che capisca che i social media sono molto più incentrati sull'aggressività, sulle iperboli e sulle emozioni".

Durante il suo lavoro alla BBC ha assistito ad alcuni cambiamenti epocali, come il passaggio alla trasmissione 24 ore su 24 ore e all'online. Quello che mi chiedevo è: com'è cambiato il pubblico e specialmente il rapporto con il pubblico che ora trova una voce sui social media che, nelle sue evoluzioni più estreme, porta anche a fenomeni come la cancel culture?

"Penso che il pubblico sia cambiato in parte per la tecnologia, in parte per il modo in cui la tecnologia è stata sfruttata. Penso al passaggio alle notizie 24 ore su 24, la domanda che è stata posta all'inizio è stata: come si riempiono 24 ore con notizie? Una domanda ridicola, perché non lo fai. Quello che si fa è mettere a disposizione un servizio a cui le persone possono accedere in qualsiasi momento per scoprire cosa è successo, per poi disconnettersi. Questo è stato sovralimentato dagli smartphone. Ora la gente si limita a un “check-in” veloce, le notifiche principali gli arrivano sullo smartphone e le notizie vengono consumate durante tutto il giorno in forma di “spuntini”.

Quello che quindi diventa cruciale per una consumazione mediatica del genere, è che tu come utente sappia che puoi fidarti di questa fonte e che tramite questa tu abbia la possibilità di trovare un retroscena o e un contesto alla notizia. Perché secondo me la sfida per noi giornalisti è quella di condurre le persone dalla notizia semplice verso un giornalismo che in primis ti dà un background e un contesto a ciò che è successo, perché credo che le persone trovino le notizie piuttosto confondenti e che si allontanino da esse, “spegnendo” per così dire il flusso di notizie".

Perché sono troppe.

"Sì, sono troppe. Perciò bisogna trovare da un lato il modo per far interessare le persone a ciò che conta per loro, e poi l'altra cosa è noi come giornalisti capire quali sono le notizie importanti, perché non tutte quelle che noi reputiamo esserlo in fondo lo sono. Stamattina ho parlato con una persona che mi ha detto che si è occupata di storie nello Yemen. Non ricordo l'ultima volta che lo Yemen è apparso nei nostri ordini di servizio. Ma i problemi in Yemen continuano. Com'è possibile dunque rompere quell'accordo su cosa è importante e arrivare alle storie che realmente contano?

Questa è uno dei motivi per cui credo che i giornali siano davvero fondamentali. Ovviamente, i diversi punti di vista che offrono sono importanti, ma anche la capacità di allontanarsi dal flusso costante di notizie e dire: 'Sapete una cosa? Abbiamo una storia qui e daremo a una squadra due, tre, quattro, cinque settimane per indagare e approfondire davvero una questione che noi riteniamo importante.' Ma per questo bisogna avere a disposizione mezzi, risorse, soldi. E la mia preoccupazione è sempre stata quella se le organizzazioni avranno abbastanza risorse per fare questo tipo di indagini e di pezzi di approfondimento".

A osservare attentamente certi mezzi di comunicazione sembrerebbe piuttosto che siano loro ad adeguarsi ai ritmi dei social media, seguendo minuto per minuto le notizie del momento, tanto che dopo un paio di giorni molto di loro sono già reputate “vecchie”. Mi viene in mente come esempio il terremoto in Turchia.

"E in realtà poi quando parli con le persone loro ti dicono 'Ma cosa ne è stato di quelle persone in Turchia?' Stavo cercando di dire proprio stamattina alla radio che ci sono così tante cose che giornalisti intraprendenti potrebbero approfondire. Cosa hanno fatto di sbagliato in tutti i lavori di costruzione in Turchia? Come inizieranno a rimettere insieme le loro vite? Quelle città scompariranno o saranno vitali in futuro? Questioni che sono un po al di là del titolo del giornale, ma che credo aiuterebbero ad accrescere la fiducia delle persone nel giornalismo.

Percepisco un pericolo: sembra, a volte, che tutto ciò che sta accadendo nel mondo nessuno possa farci nulla. È tutto troppo orribile, tanto da far emergere la retorica del: 'Di tutta questa roba non voglio più saperne nulla perché è tutto disastroso.' Ma se il giornalismo mostrasse al pubblico il modo in cui le persone si stanno rimettendo in sesto e iniziano a ricostruire le loro vite, dopo questa cosa terribile che è accaduta loro, penso che qualcuno potrebbe essere ispirato a dire: 'Sai cosa, li voglio sostenere, potrei mandare dei soldi o aiutarli in altro modo' o 'Sì, riesco a vedere della speranza'. Credo che il giornalismo abbia anche questo come compito, ingaggiare le persone nelle cose che contano".

Esiste, secondo Lei, il rischio che un giorno il giornalismo possa cedere ai social media, a quello che l'opinione pubblica dice di voler sentire e quali argomenti vuole seguire, o anche quello che non vuole più sentire e quindi cancellare dal dibattito pubblico?

"C'è un rischio? Si. Succederà? No, perché credo che finché continueremo ad assumere persone intellettualmente curiose e che conoscono i valori di un buon giornalismo, pongono le domande difficili, hanno una sorta di istinto per arrivare alla verità, sono dell'idea che ce la caveremo bene. Ma per questo è necessario formare le persone, formare i giornalisti e anche proteggerli. Mi preoccupa il numero di giornalisti morti. Quando ho iniziato a lavorare in quest'ambito, la morte di un giornalista era un evento raro. Credo inoltre che dobbiamo anche espanderci nei nostri programmi per quanto riguarda l'alfabetizzazione ai media.

Anche se ci sono le prove provenienti dai dati dell'Ofcom (autorità competente e regolatrice indipendente per le società di comunicazione nel Regno Unito ndr) dai quali risulta che le persone sono molto più educate in materia di quanto non gli si addica, capiscono quando gli si sta mentendo, sanno distinguere un'informazione falsa da una vera".

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