Un femminicidio ogni tre giorni, stupri, violenze familiari, stalking, aggressioni. Crimini che anno dopo anno appaiono sempre più gravi e difficili da arginare. Spesso, viste le enormi richieste, anche le forze dell'ordine o i centri antiviolenza non riescono ad agire tempestivamente per fermare questa emorragia di vite spezzate e lo stato di paura continua, in cui vivono le donne e le ragazze nelle nostre città. In questa situazione alla deriva, un grande aiuto arriva dalle associazioni, che sempre di più possono essere un validissimo strumento d'azione "sul territorio". Per questo motivo Y.A.N.A. You Are Not Alone - ODV, l’Associazione di volontariato impegnata ad aiutare le vittime di violenza e combattere la violenza di genere ed i femminicidi; con il contributo di Hotel Verri e LIDO 04, ha inaugurato il 29 giugno la 1^ edizione del Premio Yana Malaiko.
Un evento no profit che ha l’obiettivo di far conoscere la nascita dell’ Associazione e far luce sui molteplici aspetti della violenza in ogni sua forma, con lo scopo di prevenire i fenomeni di vittimizzazione ed intervenire con la migliore formazione possibile degli operatori, in collaborazione con la Rete e coinvolgendo la popolazione per portare un cambiamento radicale, che non solo con la teoria possa creare concrete pratiche solide.
Non soltanto quindi, una serata dove sono stati consegnati premi, ma un incontro su varie tematiche legate alla violenza, da parte di operatori del settore, psicologi, avvocati e giornalisti. Sul palco si sono anche alternati vari relatori ad iniziare dal giornalista investigativo Alessandro Politi, che con il suo intervento: Il giornalismo come possibile soluzione, ha sottolineato l'importanza del lavoro di raccontare e portare alla luce casi di violenza e di come questi devono essere trattati. A lui si sono aggiunti il criminologo Giovanni Spoletti, la psicoterapeura Dott.sa Antonella Mangili, il già magistrato del Tribunale Ordinario di Bergamo, Dott.sa Carmen Pugliese, il co-Fondatore Associazione Y.A.N.A l'avvocato penalista Angelo Lino Murtas, l'avvocato Alessia Sorgato e l'On, Isabella Tovaglieri.
Sulla modalità d'azione per arginare questo fenomeno criminale, il presidente dell'associazione Francesco Porrello, che abbiamo intervistato, ha le idee molto chiare e ha raccontato senza mezzi termini, quanto questo genere di violenza sta assumendo proporzioni enormi, e come si può, con l'aiuto di tutti, intervenire.
Presidente come è nata questa associazione?
"Yana è il nome di una ragazza uccisa lo scorso 20 gennaio. Si chiamava Yana Malaiko ed era una giovane donna Ucraina che a 23 anni ha visto la sua vita spezzata per mano dal suo ex ragazzo, attualmente detenuto ed in attesa di processo. Durante le fasi di ricerca del corpo, dal 20 gennaio al 1 febbraio, con il papà Oleksandr Malaiko, che ora è il Vice presidente dell'associazione, abbiamo sentito forte la volontà di fare qualcosa di concreto, affinché episodi come quello di Yana non avvengano più. Inoltre abbiamo riflettuto su come poter incrementare le modalità che già esistono in maniera più pratica, mettendoci dalla parte delle vittime per comprendere cosa realmente può essere sia d'aiuto, ma anche di sostegno".
A quali soluzioni avete pensato?
"Ci sono tantissimi punti che stiamo sviluppando, come la possibilità di offrire corsi di difesa personale nell'attesa del processo. Pensiamo ad esempio alle vittime di staking o quelle di violenza, che nel percorso di uscita perdono l'autostima. Questo le aiuterebbe a sentirsi più sicure. Facendo rete siamo riusciti ad avere l'aiuto di Pamela Potenza, una specialista in trattamenti post operatori oncologi che si è offerta di trattare le cicatrici da violenza. Cancellarle anche 'visivamente', è un grosso aiuto psicologico che si offre alle donne. Stiamo cercando anche di chiudere accordi con alcune aziende per far in modo che queste donne abbiano la possibilità di essere reintrodotte con il lavoro nel tessuto produttivo. Inoltre siamo in collegamento con un centro interinale che ha 150 punti d'appoggio in tutta Italia.
Con il presidente di una rete d'affitti che si chiama "Casa per te" inizieremo una collaborazione a lungo termine. A lui abbiamo già dato incarico di "cercare" un appartamento per una vittima di violenza che siamo riusciti a far entrare in una struttura protetta e che si trova nella fase due. Tra un po' quindi potrà affittarla e iniziare una nuova vita, in un posto sicuro e lontano, insieme alla figlia. Altra cosa fondamentale, di cui abbiamo parlato durante il premio, è una App nata tre anni fa, e sviluppata da quattro ragazzi tra cui un ingegnere, che permette di essere attivata tramite la voce.
Quando si è vittima di un'aggressione, spesso non si ha nè il tempo nè la lucidità di cercare il telefono e comporre il numero per chiedere aiuto. Grazie a questa App basta urlare, che è poi la cosa più importante da fare per attirare attenzione, per attivare sia un cloud che registra quello che succede per la successiva denuncia, e al contempo invia sms a contatti prestabiliti che possono attivarsi per intervenire, e chiamare le forze dell'ordine. Durante l'evento, il rappresentante del progetto Diana, che prenderà il nome di Yana e quindi YanaApp, ha eseguito un test con il prototipo che è andato a buon fine e spiegato il funzionamento.
Progetto per cui, come sottolineato concretamente dalla presentatrice Rajae Bezzaz , richiede l'aiuto per raggiungere la raccolta di circa 800.000,00€ di fondi".
Sono proposte interessanti, quanta difficoltà si incontra nell'attuarle?
"Il punto è proprio questo. Se nessuno conosce la nostra, o anche altre associazioni, queste diventano risorse sprecate. Ecco perché abbiamo avuto l'idea di creare questo premio, per far ascoltare la nostra voce, dire che ci siamo e "siamo pronti" ad agire insieme a tanti volontari. C'è bisogno di tutti per vincere questa guerra, perché c'è un femminicidio ogni 3 giorni ed è una cosa inconcepibile. Quasi quotidianamente avvengono aggressioni, ci sono maltrattamenti familiari, stalking, bullismo. Sono tante le vie da percorrere e molte le cose che noi come associazione ci prefissiamo di fare; ma abbiamo bisogno sia di visibilità, ma anche di aiuto da parte dello Stato. C'è tanto da fare ad iniziare dalle scuole".
Ad esempio?
"Reintrodurre l'Educazione Civica che oltre a spiegare come funziona lo Stato, educhi alla civiltà, alla mutua assistenza delle persone, sia fuori che dentro la famiglia. Anche per quanto riguarda l'ora di educazione fisica, sarebbe molto utile trasformarla, almeno in parte, in corsi di difesa personale, soprattutto per le ragazze. Questo aiuterebbe davvero moltissimo visto che ormai abitiamo in città che non possiamo definire sicure. Voglio lanciare anche una provocazione, visto che oggi si è capovolta la funzione scolastica e si è arrivati a paradossi di temere di bocciare un ragazzo o di abbassare i voti in condotta, se in qualche modo l'istituzione scolastica riscontra difficoltà ad intervenire, deve pensarci lo Stato introducendo materie obbligatorie che portino ad un percorso educativo".
Parlando invece di violenza di genere avete idee da attuare anche su questo?
"Sappiamo tutti che esiste l'Aso (Assistenza sanitaria obbligatoria) quando c'è una denuncia di violenza, ad esempio familiare. il 90% delle volte la persona è nota e magari è già stata attenzionata. Può essere il marito, o l'ex fidanzato, il papà il cugino l'amico di famiglia, ma è comunque una persona conosciuta, per cui dopo la denuncia questa deve essere obbligata ad una verifica sanitaria della personalità, per poi essere aiutato. Si può scoprire che ha un disturbo bipolare o narcisistico o solo un'aggressività da controllare, ma in questo modo può essere attenzionata velocemente. Perché nonostante lo Stato ha inasprito le pene e allungato i tempi di denuncia, non basta. Questo fenomeno attualmente non è più un fiume in piena, ma addirittura senza argini".
Le istituzioni cosa potrebbero fare?
"Uno dei nostri progetti si chiama "controllo del vicinato antiviolenza" ed è basato su quello che in alcuni comuni già esiste che è il 'controllo del vicinato'. Non parliamo di ronde o sceriffi, ma di referenti di palazzo o di quartiere, che siano una sorta di punti di "raccolta" e che abbiano un filo diretto con l'autorità, la Polizia locale o i Carabinieri. Le segnalazioni di violenza possono diventare in questo modo denuncie, su cui le autorita possono controllare e agire subito. Costruire questi modelli, come ha fatto ad esempio il comune di Modena, è possibile, ma c'è bisogno dell'aiuto sia delle autorità ma anche dei cittadini, che in questo caso sono le fonti più attendibili perché vivono sul territorio, hanno orecchie e occhi e possono fare la differenza".
Quanto sono importanti associazioni come le vostre?
"Fondamentali direi per portare avanti questi tipi di progetti. Le associazioni antiviolenza ci sono, le case sicure dove le vittime di violenza possono rifuggiarsi magari con i figli ci sono, ma purtroppo come le carceri queste strutture sono poche e tutte piene. Aiutare le associazioni significa anche dar loro abitazioni, come le case sequestrate alle mafie o i locali inutilizzati. Se lo Stato si fa solo carico delle utenze, al resto possono pensare i volontari. Il costo sarebbe minimo, e molte più vittime potrebbero trovare un luogo sicuro dove rifuggiarsi. Inoltre deve esserci meno burocrazia, più velocità di intervento da parte delle forze dell'ordine e molta più informazione. Per fare un esempio, io stesso ho scoperto da poco che esiste un "assegno di libertà" a disposizione delle vittime di violenza, che dà loro la possibilità di avere un aiuto economico. Tutti sanno che una delle prime forme di violenza che si attua è quella psicologica ed economica. Se la donna dipende in tutto, anche economicamente, dall'uomo violento, soprattutto quando ci sono figli, spesso preferisce rimanere in quella situazione.
Perché sempre la Vittima deve abbandonare tutto, cambiare la propria vita andando persino in una struttura protetta in un altro comune o addirittura regione? Magari il legislatore potrebbe introdurre l'allontanamento del maltrattante, in alternativa al suo eventuale obbligo domiciliare, costringendo il carnefice a dover affrontare il supplizio di dover rivoluzionare tutto e consentire di "ritrovare serenità e confort" a casa propria per la vittima che ha già subito abbastanza.
Servono comunque interventi rapidi, snellimenti delle pratiche e l'inasprimento delle pene. Immaginiamoci uno stalker che toglie con le minacce e la paura la libertà di movimento alla donna, anche se questa denuncia.
In questi casi, quando il reato è accertato, si dovrebbe passare agli obblighi domiciliari, per poi trasformarli in arresti domiciliari, in caso di reitero del reato. Questo permetterebbe di privarlo della libertà di agire nuovamente a discapito della vittima, senza gravare sulle galere, già stracolmente e tra l'altro a spese dello Stato".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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