Un sibilo feroce che arriva da dietro la collina. Più si avvicina e questa armonia metallica prende le somiglianze di un ruggito famelico, quasi felino. Quando appare sulla scena si rimane di stucco, perché quella melodia dalla personalità così spiccatamente marcata viene da una berlina a due volumi e mezzo, tanto popolare quanto a suo modo semplice. Qualunque persona comune sarebbe potuta cadere nelle trappola, aspettandosi una fuoriserie di grossa cilindrata, invece, l'autrice di una così euritmica colonna sonora a quattro cilindri è l'Alfa Romeo 33. La regina di Pomigliano d'Arco, che nel corso del 2023 compie i suoi primi quarant'anni di vita. Vero, a una signora non bisognerebbe chiedere l'età, ma lei non si nasconde dietro a certi formalismi, perché nel corso dei suoi anni ruggenti ha incarnato un sogno per una generazione intera, che l'ha bramata e desiderata con ardore. L'Alfa 33 è stato un piccolo miracolo nell'ultima fase del Biscione targato IRI, a inizio anni Ottanta. In pochi avrebbero sperato in una così fenomenale riuscita commerciale, per quella che a tutti gli effetti è stata più di un'erede per l'Alfasud. Tra vizi e virtù, la compatta dell'Alfa è stata in grado di aprire le porte del cuore sportivo a quasi un milione di persone in tutto il globo.
Un contesto complicato
Non è facile nascere nel momento sbagliato. Intorno all'Alfa Romeo aleggiano le ombre di un futuro preoccupante, tra violenti scioperi e spaventose manifestazioni degli operai. In più il gigante IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, ha i piedi di argilla e nella casse manca la liquidità necessaria per dare nuovo vigore al Biscione. Dunque, le finanze piangono ma le regole del mercato delle quattro ruote esigono di pagar dazio con prodotti sempre nuovi e ben confezionati. Agli albori della nuova decade, si sente il bisogno di cambiare l'Alfasud, tanto amata per le sue doti dinamiche e di comportamento su strada, quanto odiata per i suoi atavici problemi di affidabilità e soprattutto di ruggine. Per questo motivo, l'Alfa Romeo fa uno sforzo notevole per finanziare con 154 miliardi di lire la nuova Alfa 33. Quel capitale è necessario per riprogettare le linee dello stabilimento di Pomigliano d'Arco, che sarà la casa della nuova berlina compatta, dove vengono introdotti in modo massiccio dei robot per le catene di montaggio e altri marchingegni per organizzare al meglio la produzione. Compaiono sulla scena anche dei nuovi magazzini per i componenti semilavorati, mentre per la pianificazione della logistica si pensa ad “Alcione”, un sistema computerizzato sviluppato in collaborazione con l’Olivetti. La nuova strategia dà i suoi frutti, tuttavia, la lavorazione dei lamierati non zincati non elimina del tutto il problema della ruggine, che scomparirà in larga parte con il restyling del 1986.
Alfa 33, erede dell'Alfasud
A Ermanno Cressoni viene affidato il compito di disegnare la nuova vettura del Biscione, che ha il dovere di succedere all'Alfasud, la più grande riuscita commerciale (almeno in termine di numeri) nella storia dell'azienda. Si sa, il diktat imposto dalla dirigenza è ferreo: non si può progettare un'auto nuova del tutto, ma bisogna usare ciò che di buono esiste già nei magazzini. Quindi, vengono presi l'ossatura, la meccanica e i motori boxer della celebre Alfasud per trapiantarli all'interno di un corpo vettura che sembri in gran parte inedito. Il magnifico architetto milanese compie un capolavoro, perché impacchetta con un colpo di maestria un'automobile dalle linee moderne, filanti e dinamiche, con spigoli decisi e superfici quadrate. Ovviamente non si rinuncia al marchio di fabbrica del periodo, l'immancabile silhouette a cuneo. Al debutto ci sono due motori a cilindri contrapposti: 1.3 da 79 CV e 1.5 da 84 CV. In seguito giungerà anche un 1.7 da 105 CV. Con un peso vettura leggero, questi corposi propulsori alimentati a carburatori (poi anche a iniezione diretta) offrono delle performance sensazionali. Con una spesa non troppo elevata, ci si poteva portare a casa una macchina capace di duellare per violente accelerazioni e indomita agilità tra le curve, con più blasonate e cilindrate vetture.
Un modello di successo
Alla gamma viene aggiunta la sportwagon, la versione familiare, e anche la 4x4 con trazione integrale inseribile manualmente, attraverso una levetta posta davanti al cambio. Nel 1986, con la Fiat che rileva il marchio Alfa Romeo, la 33 riceve un sostanzioso restyling che razionalizza la sua gamma. Poi, nel 1989 esordisce la seconda serie che modifica l'aspetto esteriore, ma non cambia il temperamento e le doti stradali. L'Alfa 33 viene amata da una folta massa di appassionati, incantati dalla brillantezza dei motori e dalle capacità di stare in carreggiata da parte di un'auto, capace di pennellare le curve con la classe di un pittore di chiara fama. Nel 1995 la 33 viene pensionata dopo aver regalato un insperato trionfo di vendite: 989.324 esemplari. Forse averle donato quel nome così evocativo per la storia del marchio, ispirato alle grandi vetture da corsa del passato, deve averle portato fortuna.
Nata sotto i più cattivi auspici, si è rivelata una stella luminosa anche se non priva di difetti. D'altronde le cose più belle della vita sono imperfette, esattamente come l'essere umano. E l'Alfa è la più umana tra le auto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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