Sicuramente non poteva pensare che il suo progetto sarebbe finito sugli schermi dei cinema di mezzo mondo, nei lettori dvd e che, oggi, sarebbe stato rivisto in loop sulle piattaforme di streaming. Però Alejandro De Tomaso lo sapeva che l'auto che stava costruendo doveva essere destinata ad un destino glorioso. L'anno era l'ormai lontano 1967. Il posto Modena. Una piccola fabbrica in una piccola città. I sogni però erano enormi. Il progetto si chiamava De Tomaso Mangusta.
Balzo in avanti di molti anni. Ti stai godendo Kill Bill Vol. 2, con Uma Thurman che è tornata per continuare ad assecondare la sua legittima sete di vendetta. Deve regolare i conti con la Deadly Viper Assasination Squad (composta, nientemeno, da Lucy Liu, Michael Madsen, Daryl Hannah e Vivica A. Fox) il cui boss è appunto Bill, interpretato da Keith Carradine.
E qui Quentin Tarantino piazza una delle sue reference pazzesche, di quelle che non sono mai accompagnate da una spiegazione di qualche genere, poiché risultano sottili, eppure evidenti. Bill, infatti, guida una De Tomaso Mangusta. La correlazione tra i serpenti e l'unico animale in grado di tenergli testa è spiazzante e potente.
Avvitiamo di nuovo il nastro del tempo. Nel 1965 l'ex pilota e costruttore italo - argentino inizia a pensare ad un'auto che possa rappresentare la svolta per una casa che, fino a quel punto, non è riuscita a sgomitare più di tanto sul mercato. Sì, produce vetture da competizione ed ha sfornato anche una cinquantina di suggestive coupé Vallelunga, ma serve un balzo ulteriore.
Il progetto è ambizioso: realizzare una sportiva di lusso che possa andare a competere nello stesso segmento di mercato occupato da Ferrari e Lamborghini. Per riuscirci però, era necessario distinguersi. Una delle caratteristiche principali del modello era il telaio monotrave in alluminio, ereditato dalla Vallelunga. Il disegno prevedeva un motore posteriore centrale, come nelle auto da competizione ed un particolare cofano con apertura ad ali di gabbiano.
Il motore era un potente (e pesante) Ford V8 in ghisa e il suo posizionamento, unito alla carrozzeria leggera in acciaio - disegnata da Giorgetto Giugiaro - creò inizialmente più di un problema di bilanciamento della vettura. De Tomaso decise che doveva assolutamente risolvere la questione perché le prestazioni e le forme seducenti dovevano andare di pari passo con l'affidabilità della guida. Per farlo, capì che era necessario trovare un nuovo posizionamento, più in basso, del motore stesso.
Anche alla fine delle manovre correttive, però, la Mangusta risultava ancora un'auto che viaggiava ai limiti dell'aderenza e forniva margini di incertezza quando lanciata a tutta velocità, ovvero
250 km/h. Malgrado queste questioni, l'auto rimase in produzione fino al 1971, rivaleggiando quasi ad armi pari con brand giganteschi. E guadagnandosi un posto, molti anni dopo, anche nell'Olimpo del cinema.
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