Levigare una macchina, modellandola inseguendo le traiettorie del vento, assecondando i principi dell'aerodinamica in modo rigoroso, anche se quasi sempre empiricamente. Poi, c'è l'efficienza, che deve sposarsi con la parte più complicata: l'estetica. Un'auto ha il dovere di fendere l'aria in modo entusiasmante, ma deve anche saper impressionare e scatenare le più intime emozioni dell'animo umano. Senza fonti di ispirazioni, a cosa si riducono l'estro, la fantasia e il talento? A niente. Tutto questo lo sapeva bene Franco Scaglione, uno dei designer più leggendari vissuti in Italia nel corso del Novecento e papà di alcune delle vetture più emblematiche del suo periodo e che, ancora adesso, fanno girare la testa e stordire appena incrociate. Il suo timbro è unico e distinguibile da tutti gli altri.
Tra guerra e disegno
Scaglione nasce a Firenze nel 1916, da Vittorio, maggiore medico dell'esercito, e da Giovanna Fabbri, capitano della Croce Rossa Italiana. Sono una famiglia benestante, di antica origine nobiliare. Il giovane Franco in un primo momento si avvicina agli studi umanistici, consegue il diploma di liceo classico ma poi vira verso l'ingegneria, di tipo aeronautico. Attraversa l'Appenino e si stabilisce a Bologna, nell'Università più antica d'Europa. Attorno a lui, però, il mondo si muove verso la guerra e Franco presta servizio di leva alla causa bellica nel Genio Pontieri. Quando si apre il fronte in Africa, Scaglione si arruola volontario nel Genio Guastatori e viene spedito in Libia. Alla vigilia di natale del 1941 viene fatto prigioniero dai britannici a sud di Tobruk e spedito in un campo di prigionia in India, dal quale uscirà solo nel '46.
Quando rientra a casa, scopre che il fratello è morto e le scorie degli anni di detenzione fanno ancora male. Si sente troppo vecchio per continuare gli studi universitari ma, avendo un fulgido talento nel disegno, viene ingaggiato da una sartoria in qualità di figurinista. Intimamente, però, la grande passione di Franco sono le auto, in particolar modo il loro design. Quotidianamente dà libero sfogo alle sue idee, le mette su carta e poi spedisce tutti i bozzetti alle varie carrozzerie italiane dell'epoca. Il primo ad accorgersi di lui è Battista Farina, della Pininfarina, che gli offre un colloquio, dopo il quale si aprirà una porta verso un nuovo mondo.
Da Pininfarina a Bertone
Nel 1951 le strade di Scaglione portano a Torino, al cospetto del grande Battista Farina. Dopo qualche mese, però, la collaborazione si interrompe a causa di qualche controversia, come il non poter firmare con il proprio nome le creazioni personali, e di una soggezione di troppo inflitta ai danni del più giovane dal grande maestro. Chiusa una porta, si apre un portone. Dopo la Michelotti e la Balbo, Scaglione approda alla Bertone, ed è qui che lascerà il segno. Il primo grande colpo è un lavoro che gli viene commissionato da Karl Abarth per dar vita a una dream car molto speciale: la Fiat-Abarth 1500 Biposto. L'opera è sensazionale, una volta esposta al cospetto dei grandi saloni, tutti impazziscono. È estrema, futuristica e di grandissima personalità. Scaglione ha fatto centro, tanto che il suo progetto viene comprato dall'americana Packard per degli studi approfonditi.
Nuccio Bertone è orgoglioso del suo designer, che diventa quello di punta della carrozzeria piemontese. Da lì a poco, escono anche le famose "BAT", a marchio Alfa Romeo che sembrano uscite da un fumetto americano e segnano indistintamente gli anni Cinquanta, fatti di coraggio e inventiva. I più grandi successi del momento, però, sono l'Alfa Romeo Giulietta e la sua versione Sprint Speciale. La prima diventa la "fidanzata" degli italiani, l'automobile più desiderata in tutto lo Stivale; la seconda è un capolavoro di eleganza e sportività senza tempo. L'aerodinamica è un fattore per lui troppo importante, così semina dei fili di lana lungo la carrozzeria e, nei tratti autostradali, verifica il comportamento delle varie turbolenze.
Scaglione si mette in proprio
Nel 1959 accade l'imponderabile: per una banale discussione, Nuccio Bertone e Franco Scaglione si separano senza ricucire lo strappo. Il designer italiano si mette in proprio, diventa indipendente e non smarrisce il suo immenso talento. Anzi, avendo seminato bene durante la sua carriera, alla sua porta arrivano tanti ingaggi profumati. Il primo è quello della Lamborghini 350 GTV, un gran turismo dotata di immenso fascino. Il più grande capolavoro arriva, però, nel 1967 ed è l'Alfa Romeo 33 Stradale. La supercar del Biscione è considerata una delle auto più belle di tutti i tempi, una macchina che ha saputo abbinare la tecnica a un'immagine raffinata.
Quando tutto sembra procedere per il meglio, per Franco Scaglione arriva l'incontro che cambia in negativo la sua vita, quello con l’imprenditore Frank Reisner, titolare dell’Intermeccanica. Siamo nei primi anni Settanta, quando l’ingegnere ungherese con passaporto canadese, dopo aver raggiunto un accordo per la realizzazione di sette sportive, fugge con tutti i soldi racimolati fino a quel momento. Compresi quelli prestati dallo stesso designer toscano.
Quel dolore e quella delusione gli fanno staccare la spina, tanto che decide di chiudere la sua attività e di esiliarsi volontariamente a Suvereto, in provincia di Livorno. Negli anni declinerà anche tanti progetti ambiziosi, compresi quelli di Fiat. Muore nel 1993 nel suo rifugio in Toscana per un carcinoma polmonare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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