L’Europa tenta l’indipendenza dalle batterie cinesi entro il 2030

Goldman Sachs ipotizza l’autosufficienza europea e degli USA nei prossimi anni, ma servono interventi politici e grossi investimenti

L’Europa tenta l’indipendenza dalle batterie cinesi entro il 2030

Dall’avvento dei primi veicoli elettrici e ancor di più dalla fine del 2019 abbiamo sempre più sentito parlare del dislocamento produttivo verso le regioni orientali, in particolare la Cina. Discorso che assume ancor più peso se contestualizzato al mondo automotive, ormai sempre più “schiavo” di Cina e Taiwan per tutto ciò che concerne la produzione di batterie, estrazione di terre rare, metalli pesanti e, soprattutto, per la famigerata produzione di semi-conduttori che hanno letteralmente messo in stallo la vendita di autovetture a livello globale. Un circolo vizioso che, almeno apparentemente, sembra non giungere mai ad una fine ma che, anzi, rischia di aggravare la condizione – e accrescere i prezzi – della filiera produttiva diretta al vecchio continente e verso gli USA. Tuttavia c’è ancora chi ipotizza un cambio di paradigma e anzi, giudicando dalla fonte, farebbe ben sperare tutti i produttori di auto europei e americani.

Quel rapporto di Goldman Sachs

Questa la cifra ipotizzata da un report di Goldman Sachs, visionato e condiviso dal Finalcial Times che stimerebbe l’ammontare di investimenti grazie ai quali si potrebbe traslare la produzione delle batterie in Europa e negli USA. Una cifra apparentemente inarrivabile ma che, a conti fatti, rappresenterebbe meno di 1/8 degli investimenti previsti dai costruttori di auto per i prossimi anni, destinati all’auto elettrica. Tale impegno, unito ad una manovra congiunta tra politica e azienda, potrebbe rendere tale processo possibile già entro il 2030. I 160 miliardi di dollari sarebbero da intendersi legati ad alcune macro aree, riconducibili a: impianti per la produzione di batterie (ca 80 mld), componentistica (ca 60 mld), estrazione di litio, nichel e cobalto (11 mld), raffinazione delle materie prime (12 mld). Gli USA sembrano essersi già mossi d’anticipo grazie all’ IRA (Inflation Reduction Act), al fine di assicurare importanti agevolazioni fiscali e favorire l’afflusso di capitali esteri sul suolo americano, al fine di aumentare l’indipendenza dei costruttori statunitensi dalle forniture cinesi.

Sembrano quindi sempre più “sensate” le manovre di protezionismo promosse dall’entourage di Biden, nella speranza che anche l’Unione Europea si muova in tal direzione, cercando di rallentare il processo di accentramento della produzione di componenti elettrici e degli accumulatori sul suolo asiatico.

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