Nella mente del geniale Alec Issigonis la Bibbia deve avere avuto un’influenza prepotente, specialmente le pagine in cui si narrano le vicende del fanciullo ebreo, Davide, che sfida l’invincibile Golia, il gigante dei filistei. Il coraggio e la sfrontatezza del giovinetto che armato solo di fionda e qualche sasso di fiume, stende il più potente avversario prima di ucciderlo in un modo cruento. Nella parabola di Mini e della sua originale Mini Minor si possono leggere e veder scorrere le immagini di duelli ad armi impari, con la piccola inglesina dalla lunghezza di appena tre metri e con un peso sulla bilancia di poco superiore ai 600 chilogrammi, in grado di sconfiggere su strada e in pista avversari ben più feroci e potenti. La Mini come un novello Davide forse era questo il sogno del suo papà, così come quello di John Cooper altro uomo che ha iscritto, letteralmente, il suo nome negli astri della coraggiosa auto di Sua Maestà.
Figlia della crisi
Il contesto in cui prende forma l’embrione dell’originale Mini è lontano dai fasti e dall’opulenza dell’impero britannico, perché la crisi petrolifera del 1956 che colpisce il Canale di Suez e che viene risolta con un intervento militare da parte degli inglesi, della Francia e di Israele contro le forze egiziane, ha impoverito tutti quanti. In Gran Bretagna si respira una pesante aria di austerità, che si ripercuote irreversibilmente anche nei confronti dell’industria automobilistica. Gli utenti della strada sono sempre più orientati verso auto dalle dimensioni ridotte, dalla cilindrata molto bassa e dal minor consumo di carburante possibile. Dentro ai confini britannici, intanto, si assiste in modo inerme all’invasione delle bubble car estere, specialmente della tedesca BMW Isetta, prodotta dai bavaresi su licenza dell’italiana Iso Rivolta. Il compito di dare una nuova vetturetta inglese ai sudditi della Regina Elisabetta II spetta alla British Motor Corporation, con il presidente George Harriman che affida ad Alec Issigonis il compito di dar vita al nuovo orgoglio nazionale su quattro ruote. Il diktat è preciso, l’auto deve sbaragliare la concorrenza delle microvetture estere, in più al suo interno deve trovare spazio il motore quattro cilindri prodotto dalla Austin. Il geniale progettista Issigonis, nato a Smirne quando ancora l’Impero Ottomano dettava legge su quei territori, è l’artefice di una vera rivoluzione. Nel 1959 prende forma la Mini, un’auto che rispetta le misure designate ma ha uno schema innovativo, infatti punta sul motore in posizione anteriore –trasversale e sulla trazione anteriore. Una scelta che si rivelerà profondamente azzeccata.
La cura di John Cooper
La Mini si fa le ossa sul mercato partendo da un periodo di ambientamento difficoltoso, il successo avviene a scoppio ritardato perché il suo design, molto avanti per il tempo, deve prima essere accettato e assorbito dagli automobilisti che hanno necessità di tempo per farci l’occhio. Quello che colpisce, invece, dai primi istanti sono le sue doti dinamiche e la grande tenuta di strada. Certo, quel volante in posizione quasi orizzontale fa storcere il naso a qualcuno che la paragona addirittura a un “camion”. La sua consacrazione, però, arriva quando a mettere le mani su questo modello ci pensa l’ingegnere John Cooper, già titolare dell’omonimo team di Formula 1, che compie un’altra magia. Il britannico tira fuori il carattere e la personalità aggressiva da questa docile vettura da città, trasformandola in un’affilata sciabola da combattimento. La sua operazione è quella di aumentare la cilindrata, mettere qualche cavallo in più a disposizione, e conferirle un assetto che innalza le già elevati doti stradali. Le Mini Cooper adeguatamente trasformate diventano una vera mina vagante, un avversario prima da schernire, data l'ilarità che suscita per le sue piccole dimensioni, e poi da applaudire a piene mani quando riesce a mettere in fila anche colossi come le Ford Falcon e le Ford Mustang.
Mini, vince nei rally e in pista
I veri capolavori e le grandi imprese che valgono alla Mini la gloria eterna e il ruolo di outsider per antonomasia, come un Davide biblico, sono quelli conquistati nei rally e nei campionati turismo inglesi ed europei degli anni ‘60. Memorabile la prima affermazione assoluta della Mini Cooper S al Rally di Monte Carlo del 1964, con Paddy Hopkirk al volante, che vince sulla terribile Ford Falcon dal possente motore V8. Successo bissato anche l’anno seguente con il finlandese Timo Makinen, che nelle difficili condizioni delle montagne vicine al Principato di Monaco, riesce a mettere in fila le più blasonate e potenti Porsche 904 e Saab 96. Il Monte e la Mini diventano un binomio, perché la piccola vettura trionfa anche nel 1966 (salvo poi essere squalificata per una questione di fari) e nel 1967, anno in cui si aggiudicherà anche il prestigioso Rally dell’Acropoli in Grecia. Il capitolo legato alle mirabolanti vittorie su pista è legato alla figura di John Rhodes, soprannominato Smookey per la sua capacità di far fumare le gomme, tattica usata per creare un ostacolo agli avversari. La sua capacità di buttare la Mini Cooper di traverso nelle curve, gli diede eccellenti vantaggi tanto da poter sopperire alle eventuali mancanze di potenza contro vetture molto più grandi della sua britannica.
Rhodes fu il vero re delle gare di Turismo del BTCC di quel periodo, grazie alla piccola Mini che costruì la solida fama che, persiste ancora con la sua discendente odierna, di auto dal “Go-Kart feeling”. La riscossa delle più piccole.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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