I punti chiave
Nessuno è profeta in patria, dicevano i latini. Un concetto che potrebbe calzare a pennello anche con Rudolf Hruska, un soggetto che - per sua sfortuna - ha avuto difficoltà a identificare concretamente una nazione madre, venendo adottato dall'Italia che ha aperto le porte al suo genio e alle sue qualità di progettista e ingegnere. Il nativo di Vienna ha dato il suo contributo fondamentale all'automobile del '900, in particolar modo, ha saputo dare il meglio di sé quando ha prestato il suo ragguardevole talento all'Alfa Romeo, dove ha transitato proficuamente per due volte. Oltre al Biscione, sono state tante le sue collaborazione di assoluto livello, a dimostrazione che un ingegnere del suo calibro può lavorare ovunque, non solo nell'automotive.
Gioventù viennese
Rudolf Hruska, originariamente Hruschka, nasce a Vienna nell'estate del 1915, quando l'Impero Austro-Ungarico è impegnato aspramento nel primo conflitto bellico mondiale. La sua dinastia non è austriaca ma di origine boema, purtroppo per il piccolo Rudolf il nucleo si spezza presto perché la mamma in tenera età, quando ha appena cinque anni. Il padre si rifà in fretta un'altra famiglia, convolando a nozze con un'altra donna, così il giovane Rudolf è costretto a crescere con alcuni parenti. Questo non gli impedisce di smarrire la bussola e di impegnarsi a fondo nello studio. Agguantare la laurea in ingegneria all'Università di Vienna infatti gli riesce facile.
Le sue capacità non passano inosservato, così nel 1938 viene chiamato da Stoccarda per lavorare con Ferdinand Porsche, che ha avuto un compito complesso: realizzare un'auto per la massa. Hruska sgomita fianco a fianco con il suo connazionale Porsche per lo sviluppo del Maggiolino, ma quando il Terzo Reich muove guerra al mondo intero, offrirà le sue conoscenze per l'industria bellica con particolare attenzioni ai carri armati Tiger I e Tiger II, due tra i più famelici e devastanti mezzi corazzati della Seconda Guerra Mondiale.
Stregato dall'Italia
Dopo l'apocalisse, tutti quanto cercano di ricostruirsi una nuova dimensione e una vita che sappia ancora regalare qualche frutto. Hruska decide nel 1947 di trasferirsi in Italia al seguito di Ferry Porsche, il figlio del fondatore dell'omonima azienda, per lavorare alla Cisitalia. Purtroppo, dopo alcuni anni, l'avventura nella fabbrica di automobili torinese termina anzitempo per una grave crisi finanziaria. L'austriaco, però, è abile a procacciarsi nuovi ingaggi e, prima, finisce a fare il consulente di Finmeccanica, poi, entra in Alfa Romeo.
Con le auto del Portello riesce a tirare fuori il meglio di sé, rivestendo la carica di direttore tecnico responsabile dei settori di produzione e progettazione, si occupa personalmente della progettazione e industrializzazione delle Giulietta Berlina, Sprint e Spider. Quelle auto daranno nuovo lustro, prestigio e immagine all'Alfa, infondendo linfa vitale a un marchio uscito zoppicante dalla guerra. Nel 1959, tuttavia, per attriti con l'IRI, Rudolf è costretto a traslocare verso altri lidi. Alla sua porta bussano sia BMW che Porsche, disposte a fare carte false per aggregarlo in squadra, ma Hruska ormai si sente italiano e non vuole lasciare a nessun costo lo Stilvale. Per questo motivo accetta le lusinghe della Fiat per dedicarsi ai veicoli a marchio Simca, nell'orbita del colosso torinese, e alla 850, una delle vetture di maggior successo di Mirafiori.
Hruska e l'Alfasud
Nel 1967 il presidente dell'Alfa Romeo, Giuseppe Luraghi, rivuole l'ingegnere austriaco tra i suoi uomini perché all'orizzonte c'è un progetto tanto ambizioso quanto difficile: l'Alfasud. Quest'ultima non è soltanto una macchina inedita e innovativa, ma intorno a sé ruota anche un contorno che guarda all'industrializzazione del Paese, in particolar modo del Meridione d'Italia. Nel 1968 a Hruska viene affidato il compito di tirare su una vera cattedrale del deserto a Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli, accanto agli stabilimenti aeronatuci del Biscione. L'impianto dovrà essere funzionante e attivo per ospitare l'Alfasud nel gennaio del 1972. La posa della prima pietra avviene regolarmente alla presenza di Aldo Moro, Presidente del Consiglio, pochi mesi dopo l'approvazione del progetto, ma da lì a breve sarebbe piombata sulla testa dell'austriaco l'autunno caldo degli scioperi.
Nonostante un milione di ore di sciopero da parte degli operai, la fabbrica campana dell'Alfa Romeo fu aperta nell'aprile del 1972, con soli tre mesi di ritardo e con una spesa di venticinque miliardi di lire in meno rispetto al budget previsto di trecento miliardi. Nonostante le turbolenze sindacali e i difetti del primo periodo, l'Alfasud fu un clamoroso successo nazionale e internazionale.
Nel 1980, Rudolf Hruska si dimise dai suoi incarichi col Biscione e divenne un saltuario consulente per la Italdesign e l'I.De.A di Moncalieri, terminando i suoi giorni il 4 dicembre del 1994 a Torino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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