"Marchionne uomo ruvido ma rivoluzionario, la sua eredità è preziosa"

A cinque anni esatti dalla sua scomparsa, lo storico manager della Fiat viene ricordato dal direttore della redazione di Bloomberg News di Milano, Tommaso Ebhardt, che lo ha conosciuto molto da vicino

"Marchionne uomo ruvido ma rivoluzionario, la sua eredità è preziosa"

"La sua scomparsa repentina è stata la molla non solo per raccontare la sua storia ma per pormi la seguente domanda: ma vale la pena sacrificare la vita in maniera totalizzante per il duro lavoro poi scomparire così di colpo?". Tommaso Ebhardt, direttore della redazione di Bloomberg News di Milano e autore della biografia di Sergio Marchionne - recentemente ristampata in una nuova versione aggiornata -, racconta con queste parole che cosa di più lo ha colpito della scomparsa del manager, avvenuta il 25 luglio 2018.

Lo storico amministratore delegato di FCA viene descritto come un "leader divisivo e visionario". A cinque anni esatti dalla morte, il ricordo di un uomo che ha saputo impartire una seria lezione sulla cultura del lavoro arriva proprio nei giorni in cui si sta discutendo animatamente di come tenere i dipendenti a casa per combattere il caldo di mezza estate. Ecco cosa è rimasto più impresso nella mente di Ebhardt, che ha conosciuto molto bene il dirigente d'azienda italiano naturalizzato canadese.

Partiamo da un aspetto meno conosciuto: come era in privato Sergio Marchionne?

Era una persona di una cultura e di un'intelligenza al di fuori del comune: averci a che fare nel privato era uno stimolo continuo a crescere. Lui era molto legato alle sue origini teatine, veniva dal basso e quindi trattava tutte le persone allo stesso modo con grandissima umanità. Incredibilmente simpatico nel privato, alternava ruvidezza ad estrema dolcezza e gentilezza.

Un esempio?

Una volta dovetti interrompere le vacanze di Natale sulla neve con mia figlia quando lui acquisì Chrysler: dovetti partire immediatamente per Detroit. Poco dopo lui invia una lettera scritta a mano in cui si scusava con mia figlia per avergli rovinato la settimana bianca con suo padre e le fece anche un regalino. Faceva queste sorprese perché ci credeva veramente. Era affezionato alle persone a prescindere dal loro ruolo.

A proposito di vacanze, una sua dichiarazione fece scalpore.

Quell’episodio fu il classico esempio in cui voleva mostrare come non tutto il mondo fosse come l’Italia. Successe che, con Fiat che perdeva 5 milioni di euro al giorno, lui si era presentato nel mese di agosto a Mirafiori e trovò la palazzina dei dirigenti vuota. Si fece spiegare il motivo: erano tutti in vacanza: ‘Ma in vacanza da cosa?’, reagì. Con quella frase stava cercando di fare capire che l’Italia è un piccolo Paese inserita però in un’economia globale che ha le sue regole: il nostro Paese non poteva fare finta che non esistessero.

Perché la figura di Marchionne è così importante?

È stato un manager rivoluzionario per il nostro Paese perché ha importato lo stile manageriale sul cambiamento in un Paese che è poco avvezzo al cambiamento. È arrivato da vero outsider a Torino, è riuscito a salvare la Fiat in un momento in cui era un’azienda decotta. Se non ci fosse stato lui, probabilmente avrebbe fatto la stessa fine di uno dei tanti carrozzoni statali italiani alla Alitalia.

Quale è stato il suo merito più importante?

Ha di fatto trasformato una piccola azienda europea, concentrata sul mercato italiano, portandola a competere nel mercato globale con l’acquisizione di Chrysler. Ha aumentato il valore con i suoi azionisti, ha fatto emergere il valore di Ferrari che ora vale in borsa 50 miliardi di euro: più della stessa Stellantis di adesso.

Un manager che però è stato anche odiato.

Marchionne era divisivo perché era un uomo che non le mandava a dire. Diceva le verità che lui riteneva anche scomode e questo è stato visto come un affronto da alcuni. Ma, nel complesso, è stato un anti-sistema. Soprattutto in Italia.

In quale ambito è stato rivoluzionario?

Ha cercato di portare il valore del merito e della competitività come unico principale motivo per la scelta degli investimenti. La sua battaglia è stata quella di trasformare la produzione in Italia, drogata da un mercato incentivato e dagli aiuti di stato, rendendo gli stabilimenti competitivi con quelli del resto del mondo.

Come quelli del Sud Italia?

Prendiamo il caso di Pomigliano d'Arco: c’erano dei livelli elevati di assenteismo e oltre il 90% delle automobili uscirono con dei problemi. Lui lo trasformò in uno stabilimento modello: venne data importanza non solo al lavoro, ma anche alla responsabilità. Per fare tutto questo aveva bisogno di un contratto di lavoro che garantisse maggiore flessibilità.

Da dirigente, ha pensato poco agli interessi dell'Italia?

Le battaglie le ha fatte per garantire un futuro all’auto italiana. Melfi è stato l’esempio più eclatante: ha salvato la produzione con la geniale idea di produrre della Jeep Renegade, un veicolo americano che veniva esportato poi negli Usa. Là ha salvato la produzione a sud di Napoli e questo non gli è mai stato riconosciuto.

In che cosa ha sbagliato?

Secondo me, lui ha perso la propria battaglia mediatica. Tutte queste trasformazioni sono state lette da una parte del Paese come un attacco ai diritti acquisiti dei lavoratori: non è mai riuscito a spiegare bene le sue vere ragioni. Ma Marchionne ci teneva veramente all’Italia e alla presenza della produzione nel nostro Paese.

Come ha vissuto la sua malattia?

Sulla vicenda clinica io non sono mai entrato perché lui è sempre stato una persona riservata. Quello che posso dire è che lui era perennemente online e, quando lui è scomparso improvvisamente dai radar, ho cominciato seriamente a preoccuparmi. Poi, arrivò quel tragico weekend in cui tutti noi capimmo che purtroppo non ce l’avrebbe mai fatta. Non aveva raccontato a nessuno del suo male: probabilmente era convinto che ce l'avrebbe fatta anche quella volta. Per me Sergio Marchionne è stato un uomo che è morto sul lavoro.

Cosa resta della sua eredità dopo cinque anni?

Secondo me l'elemento più importante è la sua eredità immateriale, ovvero un messaggio di forte ispirazione che lascia la possibilità di crederci a tutti quanti, anche l'Italia.

Non importa da dove parti, ma se hai le capacità, puoi arrivare da qualsiasi parte. In sintesi: ha insegnato che anche in un Paese come il nostro, spesso restìo al cambiamento, si possono riuscire a fare delle cose che sembravano impossibili.

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