Carlos Tavares, classe 1958. Anni sessantasei. Fresco fresco di uscita dal mondo del lavoro, e non per aver raggiunto i requisiti per percepire la pensione di vecchiaia. Nessuno scivolo, nessun prepensionamento. Le dimissioni, fortemente caldeggiate dall’azienda (la multinazionale Stellantis con sede nei Paesi Bassi, al secolo produttrice di autoveicoli ora non si sa), sono arrivate ieri, in tarda serata.
Il 16 gennaio dell'anno prossimo Carlos Tavares avrebbe spento la quarta candelina alla guida del gruppo nato dalla fusione tra Psa e Fiat Chrysler Automobiles. Non essendoci nulla da festeggiare lo hanno accompagnato alla porta anzitempo, senza indugiare oltre. Guardando la capitalizzazione, che negli ultimi otto mesi ha disegnato una drammatica curva all’ingiù (-52 miliardi di euro), viene da chiedersi perché John Philip Jacob Elkann, designato al tempo dal nonno Gianni Agnelli come suo successore, abbia aspettato tanto tempo per farlo fuori. Perché, lì da vedere, non c’erano soltanto le azioni profondamente in rosso. Pure i conti sono sempre stati disastrosi. E i dati delle vendite erano persino peggio. Un disastro targato green economy con vagonate di vetture full electric, hybrid, mild hybrid e chi più ne ha più ne metta, tutte inesorabilmente invendute. Un buco nell'acqua che non sta costando caro soltanto alle tasche degli azionisti ma che, dagli Stati Uniti all’Italia, sta avendo pesantissime ripercussioni sul tessuto sociale ed economico con stabilimenti chiusi, posti di lavoro mandati al macero e un indotto che rischia seriamente di andare gambe all'aria.
Per quattro anni Carlos Tavares, che al netto degli insuccessi nel settore automotive dicono produrre del discreto Porto nella tenuta di famiglia in Portogallo, ha sempre portato a casa stipendi vertiginosi. L’anno scorso si era parlato di 26 milioni di euro. Nessun refuso: ventisei milioni di euro. Che, badate bene, erano lievitati a 36 milioni (trentasei milioni) aggiungendo bonus e premi di produzione (avete letto bene: premi di produzione). Circa 100mila euro al giorno. Cifra che, sempre al netto degli insuccessi raggiunti, l’ha a lungo reso il ceo più pagato al mondo. Però lui, Carlo Tavares, non è un tipo che si monta la testa. E davanti al crollo di Stellantis è stato capace di fare spallucce e limitarsi a ribattere: "Non sono un mago, sono un essere umano come voi". All’essere umano, però, sempre al netto dei gravi insuccessi incassati, sta per essere accreditata una buonuscita di circa 100 milioni di euro (cifra sussurrata ma sinora mai smentita dai vertici del gruppo). Non male per un disoccupato che oggi ha dovuto spedire cv a tutto spiano, anche a quelle case automobilistiche che fino a ieri erano competitor di Stellantis (chissà se qualche mail l’ha inviata pure in Cina!).
Ora, Stellantis, per quanto quotata, è una società privata e dei suoi soldi può farne quel che vuole. Pure buttar via 36 milioni di euro l'anno per andare oltre ogni limite di velocità contro un fallimento assicurato e premiare con altri 100 milioni di euro il ceo che ha li schiantati contro quel muro.
Tuttavia noi, che siamo veramente dei comuni mortali, ci chiediamo: più che bonus e premi di produzione, più che una buona uscita stellare, forse uno come il signor Carlos Tavares non meriterebbe un'azione di responsabilità? Una riflessione che giriamo volentieri al signor Elkann e soprattutto alle migliaia di azionisti italiani (ma anche francesi) che tuttora hanno investito i loro risparmi in Stellantis.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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